Enrico Berlinguer

Enrico Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984) è stato un politico italiano. Fu segretario generale del Partito Comunista Italiano dal 1972 fino alla morte.

Enrico nacque a Sassari nel 1922 da Mario Berlinguer (avvocato, deputato socialista) e Maria Loriga. La famiglia, appartenente alla piccola nobiltà rurale sassarese di tradizioni massoniche, gli permise di crescere in un ambiente culturalmente assai evoluto (il nonno, suo omonimo, era il fondatore del giornale "La Nuova Sardegna", e fu amico di Garibaldi e di Mazzini) e di profittare di relazioni familiari e politiche che influenzarono notevolmente la sua ideologia e la carriera politica successiva. Era cugino di Francesco Cossiga - che fu presidente della Repubblica - ed entrambi erano parenti di Antonio Segni, anch'egli capo di stato.

Nel 1943 Berlinguer si iscrisse al Partito Comunista Italiano (PCI) e ne organizzò la sezione sassarese, svolgendo un'intensa attività di propaganda, che lo rese un osservato speciale della questura. Nel gennaio del 1944 la fame spinse la popolazione a saccheggiare i forni della città e Berlinguer fu accusato, a torto, di esserne stato uno degli istigatori. Fu quindi arrestato e trattenuto in carcere per tre mesi, dopo i quali fu prosciolto dalle accuse e liberato.

Dopo la sua scarcerazione, il padre lo portò a Salerno, luogo in cui la famiglia reale e il governo di Badoglio avevano trovato rifugio dopo l'armistizio di Cassibile fra l'Italia e gli alleati. Nella città campana il padre gli presentò Palmiro Togliatti, che era stato suo compagno di scuola. Berlinguer fece una buona impressione e perciò nel maggio del 1945 fu inviato a Milano, dove collaborò con Luigi Longo e Giancarlo Pajetta.

Dopo un breve periodo come vicesegretario del PCI in Sardegna, Togliatti lo richiamò a Roma. Nel 1949 fu nominato segretario della Federazione Giovanile Comunista Italiana, carica che avrebbe mantenuto sino al 1956 e l'anno seguente divenne segretario della Federazione Mondiale della Gioventù Democratica, un'associazione internazionale di giovani marxisti.

In questa veste Berlinguer visitò insieme a Nerio Nesi l'Unione Sovietica, ma nel 1957 abolì l'obbligatorietà di tale visita (comprendente anche corsi di formazione politica), sino ad allora (anche solo ufficiosamente) passaggio necessario di tutti i dirigenti che intendessero fare carriera nel partito.  Il 29 settembre 1957 sposò a Roma Letizia Laurenti da cui ebbe quattro figli: Bianca Maria (Roma, 9 dicembre 1959), Maria Stella (Roma, 16 novembre 1961), Marco (Roma, 7 gennaio 1963) e Laura (Roma, 6 maggio 1970).

Tra i parenti stretti, molti hanno abbracciato la carriera politica. Il fratello Giovanni è uno dei leader del movimento politico Sinistra democratica mentre il figlio Marco è membro della Direzione Nazionale di Rifondazione Comunista. Il cugino di Enrico, Luigi Berlinguer, è stato ministro della Pubblica Istruzione e senatore tra le file dei Democratici di Sinistra.

La figlia Bianca è giornalista e da anni conduce telegiornali e approfondimenti per il TG3 , così come Laura, che lavora a Studio Aperto.

Eletto per la prima volta deputato nel 1968, per il collegio elettorale di Roma, si fece portavoce della corrente progressista e popolare del partito. Nominato, nel corso del XII congresso, vice-segretario nazionale (durante la segreteria di Luigi Longo), guidò nel 1969 una delegazione del partito ai lavori della conferenza internazionale dei partiti comunisti che si tenne a Mosca; in tale occasione, trovandosi in disaccordo con la "linea" sovietica (fonte massima degli indirizzi dell'Internazionale comunista), a sorpresa rifiutò di sottoscrivere la relazione finale.

La presa di posizione, inattesa quanto "scandalosa", fu memorabile: tenne il discorso decisamente più critico in assoluto fra quelli che mai leader comunisti abbiano tenuto a Mosca, rifiutando tassativamente la "scomunica" dei comunisti cinesi e rinfacciando a Leonid Brežnev che l'invasione sovietica della Cecoslovacchia (che definì espressivamente la "tragedia di Praga") aveva solo evidenziato le radicali divergenze affioranti nel movimento comunista su temi fondamentali come la sovranità nazionale, la democrazia socialista e la libertà di cultura.

Nel 1970 Berlinguer proclamò un altrettanto inattesa apertura verso il mondo dell'industria: dichiarando che il PCI guardava con favore ad un nuovo modello di sviluppo, inseriva il partito in un dibattito politico-economico fino ad allora considerato tabù per i comunisti.

Raggiunta prima del previsto a causa dei disagi medici patiti da Longo, che dovette prima delegare e poi definitivamente "abdicare" (nel 1972), la sua segreteria fu caratterizzata da un lato dal tentativo di collaborare con la DC nella prospettiva di realizzare riforme sociali ed economiche che considerava indispensabili, dall'altro dalla convinzione della necessità di rappresentare un nuovo comunismo indipendente dall'URSS (chiamato "eurocomunismo").

Negli anni in cui Berlinguer fu segretario il PCI raggiunse il suo massimo storico, il 34,4% del '76 e pare corretto affermare che il partito fu diretto principalmente, se non esclusivamente, dal suo operato e dalle sue scelte; i contributi degli apparati di partito e della "nomenklatura" interna sono stati da molti analisti considerati come meramente strumentali ed avrebbero solo consentito che, dell'esponente sassarese, il "genio politico" (questa definizione, di ovvia fonte, non è cassata dagli oppositori ed è ben accetta dagli storici) potesse liberamente esprimersi, conducendo monocraticamente un movimento di antica ispirazione collettivistica.

Nell'età in cui si raccolsero nel partito, forse con la maggior concentrazione, alcune delle più nitide intelligenze politiche, la minuta figura di Berlinguer, schivo ed in apparenza timido, dal muovere serio e misurato, sarebbe svettata per silente acclamazione accompagnata dal beneplacito di fondo della non trascurabile opposizione interna.

E nelle ardite scelte berlingueriane, interne ed estere, rischiose quanto accortamente studiate, si incanalarono gli andamenti del partito di opposizione più importante dell'Italia repubblicana e del partito comunista più importante del mondo dopo quello sovietico, in un decennio che si sarebbe rivelato fra i più importanti della storia recente. Dopo Gramsci e Togliatti, secondo molti storici, nessuno avrebbe più incarnato la storia del partito come ne fu capace Berlinguer; e per qualcuno degli studiosi è un "dopo" solo temporale.

Nel 1973 si verificano alcuni avvenimenti che segneranno profondamente le scelte del PCI nel successivo decennio. L'11 settembre, in Cile, un colpo di Stato spazza via il Governo di sinistra guidato da Salvador Allende, sostituendolo con una giunta militare capeggiata dal colonnello Augusto Pinochet. Il 3 ottobre 1973, al termine di una visita ufficiale a Sofia, la limousine su cui viaggia, una GAZ-13 Chaika, è investita da un camion militare. Berlinguer si salva miracolosamente, l'interprete ufficiale muore e gli altri due passeggeri (esponenti della dissidenza nel Partito Comunista Bulgaro) rimangono gravemente feriti. I retroscena di questa tragica vicenda restano segreti fino al 1991, quando Emanuele Macaluso, senatore del PDS ed ex dirigente comunista, rilascia un'intervista al settimanale Panorama dichiarando che il segretario del PCI, appena rientrato a Botteghe Oscure, gli avrebbe rivelato il sospetto che si fosse trattato in realtà di un "falso incidente", orchestrato ad arte dal KGB e dai servizi segreti bulgari per porre fine allo scomodo alleato Italiano. Dopo la convalescenza seguita alle ferite riportate, Berlinguer scrisse per "Rinascita" tre famosi articoli intitolati "Riflessioni sull'Italia", "Dopo i fatti del Cile" e "Dopo il golpe del Cile", in cui sviluppava alcuni temi che abbozzavano la proposta del "compromesso storico" come possibile soluzione preventiva dinanzi alla deriva istituzionale che lasciava paventare possibili soluzioni di stile sud-americano.

L'anno successivo Berlinguer principiò a Belgrado una sorta di campagna di sensibilizzazione internazionale degli altri movimenti e partiti comunisti, incontrando per primo il maresciallo Tito; molti incontri di funzionari minori del partito con omologhi dei partiti comunisti di altri stati, preparavano frattanto la strada diplomatica per relazioni privilegiate con alcuni di essi.

Fu nel 1976 che il PCI berlingueriano varcava il suo Rubicone e muoveva incontro al famosissimo strappo, la rottura politica con il PCUS (il partito comunista sovietico): in occasione di un congresso a Mosca, dinanzi a 5.000 attoniti delegati provenienti da tutto il mondo, Berlinguer parlò in aperto contrasto con le posizioni "ufficiali" di "sistema pluralistico" (che l'interprete simultaneo coscienziosamente rese come "sistema multiforme") e descrisse l'intenzione del PCI di costruire un socialismo "che riteniamo necessario e possibile solo in Italia".

A chiarire che la frattura non era ricomponibile, vi aggiunse la ferma condanna del PCI per ogni tipo di "interferenza" sovietica (sia verso l'Italia che verso altri paesi).

Da parte del Cremlino si replicò che essendo l'Italia sotto un marcato controllo della NATO, si era costretti a concludere che l'unica interferenza davvero sgradita ai comunisti italiani fosse quella sovietica. Berlinguer, del resto, avrebbe loro risposto, attraverso un'intervista rilasciata a Giampaolo Pansa per il Corriere della Sera, di sentirsi più tranquillo "sotto l'ombrello della NATO".

Il programma seguito dal sempre più dinamico segretario intendeva aprire al partito strade nuove per allargare il consenso. L'ampio seguito elettorale non era infatti, da sé, sufficiente a consentire che il PCI potesse, con la necessaria autorevolezza, partecipare della vita democratica del Paese; vi erano diversi motivi di esclusione, che il segretario si propose di abbattere.

I comunisti, scomunicati da Papa Pacelli dopo le elezioni politiche del 1948, cercavano intanto di uscire da un isolamento ideologico che nel propugnare idee di tutela del ceto proletario, e nel volerne rappresentare gli interessi, li aveva in pratica relegati a questa sola funzione politica. Sostenitori inoltre della dottrina marxista (come, peraltro, sempre meno visibilmente erano gli altri movimenti della sinistra, da tempo in verità assai occupati a diluirne le asperità), erano fisiologicamente invisi all'elettorato cattolico come a quello dei ceti più elevati e le vicinanze "pre-strappo" con la Russia, avversaria del Patto Atlantico nella guerra fredda, destavano più di un'inquietudine fra coloro che ne sostenevano la fazione occidentale.

Con sagace scelta di tempi, Berlinguer rese di pubblica notorietà una sua privata corrispondenza con il vescovo di Ivrea, Mons. Luigi Bettazzi, che avrebbe dovuto testimoniare della "possibilità" di un dialogo intellettuale e sociale (e poi, certo, anche politico) fra cattolici e comunisti.

Al contempo, però, montavano le tragiche proporzioni del terrorismo, che cresceva di "qualità" e di quantità di vittime, all'inizio di un periodo che sarebbe poi stato definito degli "anni di piombo". La pericolosa espansione operativa delle Brigate Rosse, un gruppo che dichiarava di agire per il proletariato e contro il "Sistema Imperialista delle Multinazionali", proponendosi cioè (nelle sue comunicazioni a seguito di crimine) come difensore dell'elettorato del PCI e nemico dei nemici del PCI, fu interpretata a livello popolare (complici anche talune non disinteressate insinuazioni che una parte della stampa non mancò di amplificare) con un presunto accostamento del partito alla banda armata (e viceversa).

Il sospetto che il partito proteggesse i terroristi, che ne fosse in qualche modo colluso o connivente, fu difficile da smontare, stanti anche alcuni coinvolgimenti di funzionari o di militanti effettivamente rivelatisi fiancheggiatori. Il danno di immagine, il pregiudizio sulla praticabilità di un contatto con il PCI e la diminutio subita dalle precedenti strategie di "popolarizzazione" erano pesanti.

Il contatto col mondo cattolico si rese allora più intensamente ricercato da parte del partito e fu creata la formula del "catto-comunismo", con la quale si pubblicizzavano ed esaltavano i punti di contatto con le componenti dei partiti cattolici (ma essenzialmente della DC) più attente alle tematiche sociali, con i cosiddetti "basisti" (cioè rappresentanti della "base", l'elettorato di basso ceto) degli altri schieramenti.

Furono perciò coronate da grande enfasi ciascuna e tutte le piccole e grandi occasioni di convergenza ideale su punti specifici delle tematiche sociali; ciò non mancò di essere stigmatizzato da taluni come "rigurgito di qualunquismo" o come "apoteosi del volemose bene" (ad intendere un certo modo politico disinvoltamente superficiale), sebbene un certo effetto di "sdoganamento" (come lo si potrebbe chiamare oggi) vi sia effettivamente stato.

Nelle elezioni politiche del 20 giugno 1976 il PCI (che aveva ormai abbandonato le cordate elettorali allestite insieme ad altre forze - ad esempio il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) ottenne da solo il 34,4% dei voti e 227 seggi alla Camera dei Deputati e il 33,8% dei suffragi con 116 seggi al Senato della Repubblica: la differenza rispetto ai voti ottenuti dalla DC era di pochi punti percentuali, molti di meno rispetto alle precedenti votazioni, avvicinando il PCI ad una quota di elettorato che poteva eventualmente ambire anche alla maggioranza relativa.

Molti incominciarono perciò a rispettivamente sperare e temere un possibile "sorpasso". I comunisti, consci delle difficoltà dell'impresa, cominciavano comunque a lavorarci su. Dalla loro parte iniziavano a ricevere i positivi risultati della gestione di alcuni importanti enti locali (regioni, province e comuni) nei quali le giunte comuniste, che ambivano all'impeccabilità, davano comunque ottimi risultati: nelle cosiddette "regioni rosse" (Emilia-Romagna e Toscana in testa) i servizi funzionavano, le cooperative davano lavoro e producevano utili, mentre l'impresa privata (soprattutto le piccole e medie imprese, anche artigianali) prosperava dopo gli affanni della crisi del 1974.

Il successo del '76 era per una parte rilevante dovuto anche a questo "tirocinio" amministrativo, a queste esperienze di governo minore che la gente percepiva, oltre che in modo più direttamente sensibile, come buona prova, come ottima presentazione del partito per un eventuale affido governativo.

Forte delle posizioni acquisite in patria, il PCI intensificò le sue attività internazionali. L'invocato progetto per un eurocomunismo prese corpo a Madrid l'anno successivo, durante un incontro con Santiago Carrillo, leader dei comunisti di Spagna, e Georges Marchais, condottiero di quelli di Francia. I tre esponenti, parzialmente seguiti anche, sebbene in forme meno espansive, da omologhi leader di altri paesi, sostennero la necessità di affrancamento dal costante controllo sovietico, in favore della libera ricerca delle vie più opportune, paese per paese, per costruire il socialismo; corollario di questa istanza grosso modo autonomista, era il valore positivo attribuito al rispetto per le libertà religiose e di cultura, dogmaticamente bollate come eretiche dalla dottrina e dalla prassi moscovita.

Proprio a Mosca Berlinguer sarebbe andato ancora una volta pochi mesi dopo, nuovamente per tenervi un discorso profondamente sgradito, al punto che stavolta il testo fu addirittura censurato dalla Pravda, organo ufficiale del PCUS. Vi espose le nuove teorie eurocomuniste, sottolineò l'opportunità di concorrere per l'accesso al governo dei rispettivi paesi usando tutte le regole del metodo democratico (ed implicitamente esprimendo la necessità di rinunciare a pratiche più spicce, come suggerito e talvolta applicato dalla dirigenza centrale). Ed enunciò una serie di principi in netto contrasto con valori dati per assodati ed immutabili dalla storia e dalla tradizione dell'Internazionale, come la rinuncia alla pretesa del partito unico.

Si è variamente interpretato questo viaggio di Berlinguer, ed oltre al prevedibile, ma labile, sospetto che potesse trattarsi di manovrina a fini elettorali nazionali, si avanzò l'insinuazione che il partito italiano ambisse ad una posizione più centrale nell'internazionale comunista. Si sostenne in pratica che Berlinguer considerasse plausibile (ed alla sua portata) proporsi come principale esponente dei partiti "non allineati", formazioni in genere provenienti da regimi comunisti per qualche ragione in dissidio con l'URSS; secondo i malevoli Berlinguer avrebbe inteso strappare l'egemonia dell'Internazionale al PCUS (quantunque la posizione di supremazia sovietica non fosse solo basata sul prestigio della primogenitura, ma anche, più concretamente, sul supporto economico e militare, che per alcuni dei paesi satelliti era più che vitale - e malgrado talune posizioni degli eurocomunisti andassero nel senso di deprivare di significato l'Internazionale).

La frattura (o meglio il suo aggravio) sarebbe servita, secondo questa visione, a provare la possibilità concreta di rompere il vincolo di dipendenza con il PCUS; il progetto di alleanza con le forze marxiste asiatiche (cinesi in testa) avrebbe potuto, in questo senso, spostare l'asse intorno al quale si aggregavano i comunisti di tutti i paesi, alternativamente verso l'eclettico e raffinato PCI, ovvero verso il radicale e concreto PCC (Partito Comunista Cinese).

Qualunque fosse la sua reale intenzione, Berlinguer guadagnò comunque il proscenio e l'acuta attenzione dei "compagni" di tutto il mondo, intensificando ulteriormente le relazioni internazionali del partito.

Se l'Italia repubblicana era stata ornata di un ingente quantitativo di scandali di corruttela e malversazione, molti dei quali degni di attenzione giudiziaria, il PCI restava relativamente nitido quanto a correttezza di gestione politica (perché - obiettavano dalla maggioranza - non aveva mai messo le mani sul governo). Questa sorta di fedina penale pulita consentì a Berlinguer di lanciare una campagna moralizzatrice (del resto non nuova, essendosi già prodotti gli esperimenti del Partito Radicale) che, con una certa strumentalità, puntava il dito contro il cattivo uso (e spesso l'abuso) della cosa pubblica.

La questione morale divenne centrale nella propaganda del PCI e trovò una singolare sintonia di fatto con analoghe posizioni puriste del Movimento Sociale Italiano, per una volta coincidente nell'indirizzo critico verso la DC, che deteneva il potere stabilmente dai tempi dell'attentato a Togliatti. Da entrambi i partiti stabilmente d'opposizione si parlava intuibilmente di "regime", intendendo che la DC avesse blindato i meccanismi di perpetuazione del suo potere in spregio della correttezza (e talvolta della legalità).

L'accostamento coi missini, però, quantunque non ricercato, consentì agli avversari di marcare la campagna come becero strumento propagandistico da parte di soggetti per volontà dell'elettorato non ammessi a gestire la cosa pubblica; l'obiezione (in fondo l'unica opposta di una qualche serietà) riuscì a rinfrancare l'elettorato di maggioranza, non provocando grossi scossoni, sebbene il tarlo della diffidenza avesse cominciato a logorarne alcune certezze.

La spinta etica berlingueriana gli sarebbe sopravvissuta, conducendo tempo dopo al vibrato coinvolgimento delle sinistre nel dibattito politico susseguente allo scandalo di Tangentopoli.

La seconda metà degli anni '70 si spendeva con un certo affanno fra problemi di capitale importanza: la crisi economica-energetica, la disoccupazione, gli scioperi, il terrorismo. Si suole indicare nel 1977 l'annus horribilis (secondo alcuni punti di vista) delle rivolte: echi sessantottini vibravano di nuovo con forza fra gli studenti, riverberi della lotta di classe animavano il "confronto", cioè il conflitto, fra i sindacati e le imprese, molti estremisti provenienti da classi sociali diverse si rivoltavano in armi contro avversari politici ed istituzioni e la sinistra stessa era soggetta a dispute interne.

Berlinguer si rivoltò contro la pregiudiziale anticomunista che impediva al suo partito di accostarsi alla gestione del Paese. Mandò avanti Giorgio Amendola, rappresentante (anche per tradizione familiare) dell'ala moderata del partito e uomo ritenuto capace di dialogare coi non comunisti, che proclamò che l'ora era suonata per "far parte a pieno titolo del governo". Esattamente il giorno successivo alla sortita, ma la si è sempre considerata una coincidenza, gli Stati Uniti sostituirono il loro ambasciatore a Roma John Volpe, con Richard Newton Gardner e, sempre lo stesso giorno, oltreoceano iniziò una campagna di stampa con cui si sosteneva che impedire l'accesso ai governi europei dei partiti comunisti fosse un dovere costituzionale americano. A pochissime ore di distanza, Berlinguer volava in Romania per incontrare il presidente-dittatore Nicolae Ceausescu che cercava di mantenere una posizione relativamente autonoma da Mosca.

Pochi giorni ancora e "L'Unità" avrebbe iniziato a parlare della ancora segreta loggia P2. Ancora un brevissimo intervallo e si ebbe la visita in Italia del vicepresidente americano Walter Mondale.

Non restava immobile l'Unione Sovietica, che attraverso la Pravda si scagliò contro il movimento dissidente cecoslovacco "Charta 77", provocando una immediata reazione di protesta da parte dei partiti comunisti avvicinatisi alle posizioni berlingueriane, ed ovviamente dello stesso leader. Il crescere della distanza PCI - PCUS, però non impedì che proprio in questa fase dalla Unione Sovietica giungessero al PCI finanziamenti di importo rilevante: 4 milioni di dollari a titolo di "fondo di assistenza" stanziati dal Politburo da essere versati in 4 rate trimestrali ciascuna di 1 milione di dollari tramite il KGB (e altri 30.000 dollari per il Partito Comunista Sammarinese)".

Nel febbraio 1977 fu Ugo La Malfa a dichiarare per primo, pubblicamente, la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta fallì per il dissenso democristiano e socialdemocratico.

Sempre in febbraio, Berlinguer, durante un dibattito televisivo, discutendo sull' autonomia del Pci ed i legami con gli altri partiti comunisti dichiarava: "Non vedo perché dovremmo troncare questi rapporti né perché questa rottura dovrebbe essere considerata, da chi non saprei, prova del carattere democratico del nostro partito".

Nell'aprile successivo, l'ambasciatore statunitense Gardner incontrò Eugenio Scalfari, il quale gli avrebbe confidato la sua impressione che "soltanto quando Berlinguer assumerà il controllo della polizia ci sarà pace civile in Italia"; Gardner raccontò poi di analoghe indicazioni ricevute da Leopoldo Pirelli ed altri esponenti del mondo economico, mentre Giulio Andreotti gli avrebbe dichiarato che credeva nella sincerità della svolta occidentalista della dirigenza comunista, ma nutriva dubbi sul sostegno a questa svolta da parte della base del partito .

Nonostante la grande avanzata del P.C.I. nelle elezioni del 1976, non erano seguite riforme o almeno segnali di cambio di rotta da parte della classe politica e soprattutto del governo. La stessa sinistra extraparlamentare era interessata da grandissime crisi al suo interno, come risultato alcune formazioni politiche, come Lotta Continua si sciolsero. Nel 1977 scoppiò la rivolta chiamata del Movimento del '77 che nacque all'interno delle università, ma che ben presto si allargò alla società civile, in conflitto con il vecchio modo di fare politica, portando nuove istanze di riscatto sociale e di liberazione. Alla nuda e cruda lotta di classe, che ormai non era più esauriente si proponevano le lotte per i diritti civili, diritti umani, dalla lotta contro l'autoritarismo, a quelle del movimento di liberazione omosessuale e l'antiproibizionismo, ecc. Questo movimento fu avversato apertamente dal P.C.I. e da una parte dei sindacati, non si cercò un dialogo con il movimento; si privilegiò lo scontro con l'ala violenta, che tuttavia rappresentava una minoranza all'interno del movimento, e non si diede ascolto alle numerose e innovative istanze che questo propugnava.

Nel settembre 1977, nel pieno degli scontri di Bologna che avvennero in quel mese, Berlinguer accusò gli autonomi e parte dei movimenti giovanili di "essere fascisti". A quest’affermazione rispose Norberto Bobbio sulle pagine della Stampa, affermando che: "l’accusa generalizzata di fascismo a tutti i movimenti alla sinistra del partito comunista è storicamente scorretta". Berlinguer, con una lettera inviata allo stesso giornale e pubblicata il giorno seguente, ribatté che le persone aventi "come bersaglio principale il movimento operaio e il Pci" erano per lui "lucidi organizzatori di un nuovo squadrismo" e "non sono definibili con altro termine se non quello di nuovi fascisti".

Nell'ottobre 1977, Berlinguer, proseguendo le manovre per raggiungere il compromesso storico, cercando di dissipare le paure dei cattolici italiani, apre un dialogo con l' allora vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi, tramite la pubblicazione sulla rivista Rinascita, di lettere scambiatisi in cui afferma di volere "realizzare una società che, senza essere cristiana, cioè legata integralisticamente a un dato ideologico, si organizzi in maniera tale da essere sempre più aperta e accogliente verso i valori cristiani"; le lettere sono pubblicate sotto il titolo comune significativo di "Comunisti e cattolici: chiarezza di principi e base di un’intesa".

L'inconsueta rivelazione campeggiò a firma di Eugenio Scalfari sulla prima pagina de La Repubblica, al culmine di una serie di processi dialettici ruotanti intorno ad un nascente "culto" del leader sardo, culto che si impennò dopo lo "strappo" e del quale Montanelli commentò che andava "assumendo connotati quasi sacrali, e a volte grotteschi".

Il tutto, facendo un passo indietro, era nato il 2 dicembre 1977 a Roma, dove Pierre Carniti aveva condotto un'affollatissima manifestazione di operai metalmeccanici durante la quale aveva messo in mora governo e "padroni", agitando lo spettro di uno sciopero generale e di una lotta sindacale durissima nel caso le sue richieste non fossero state esaudite. Dal momento che il PCI seguiva i delicati negoziati per l'avvicinamento al compromesso storico, e che la dirigenza comunista - forse anche per questo - era rimasta silente riguardo alla questione (per la delusione dei metalmeccanici), su Repubblica apparve una delle più note vignette satiriche di Giorgio Forattini, che disegnava un borghesissimo Berlinguer in vestaglia intento a sorseggiare un tè sotto un ritratto di Marx, mentre dalla finestra aperta di questo suo salotto penetravano gli echi fastidiosi della manifestazione.

La vignetta suscitò animate reazioni e dal PCI si tuonò contro Forattini e contro la testata. Paolo Spriano scrisse una nota fiammeggiante in cui esaltò la "vita di sacrificio, di passione rivoluzionaria, di tensione politica e morale di un dirigente comunista come Berlinguer". In questo clima di ormai scoperte celebrazioni, Vittorio Gorresio solo l'anno prima aveva pubblicato una biografia del segretario in cui gli aveva attribuito la partecipazione ad una protesta su questioni di servizi locali nella località di Stintino alla strabiliante età di 8 anni. Lasciando a Montanelli agio di definire sarcasticamente Berlinguer "Un Mozart della rivolta sociale".

Spriano, la cui reazione alla vignetta era diventato un caso politico, aveva rivolto il suo attacco anche contro la testata, Scalfari pubblicò perciò un articolo nel quale il leader sardo veniva reinquadrato in una visione più realistica ed al quale diede il suggestivo titolo prima detto.

Il 1978 fu l'anno del destino, per il PCI.

Iniziò presto, con un incontro subito dopo Capodanno, fra Berlinguer e Bettino Craxi, al termine del quale fu rilasciata una nota indicativa di ufficiale "identità di vedute", espressione tradotta dagli analisti come una sorta di "via libera" (o di "non nocet") del PSI alle manovre del segretario comunista. Delle quali, già cominciate da molti mesi, si poteva ora parlare anche pubblicamente.

Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo, Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro l'interlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto.

Moro era il presidente della DC, e condivideva con il leader comunista alcune caratteristiche molto invitanti per potervi intessere un dialogo potenzialmente utile: erano entrambi sottili intellettuali, lungimiranti politici ed abili nonché pazienti strateghi. Fu Moro a parlare per primo di possibili "convergenze parallele", sebbene non propriamente in relazione ai desiderata del politico sardo, ma fu lo stesso Moro a mobilitare l'apparato democristiano per verificare la possibilità di convertire ad utile accordo la sterile distanza che sino ad allora aveva diviso DC e PCI.

Dai clandestini iniziali contatti, sinché possibile per interposta persona, si passò in seguito ad una minima frequentazione diretta nella quale andava assumendo forma e contenuti il progetto del compromesso storico.

Moro individuava nel fino ad allora demonizzato avversario un possibile alleato che gli avrebbe consentito di superare il momento di gravissima crisi istituzionale e di credibilità dello stesso apparato democratico repubblicano (screditato anche dalle campagne comuniste sulla questione morale), coinvolgendo l'opposizione nel governo e dunque assicurando il minimo necessario di consenso perché il Paese potesse sopravvivere a sé stesso in simili ambasce. Nell'aborrita DC, Berlinguer vedeva invece primariamente (ma non solo semplicemente) quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito alla responsabilità di governo. Entrambi, è stato sostenuto, potevano aver condiviso il timore che la crisi in cui versava il Paese potesse dar adito a soluzioni di tipo cileno, come già anni prima paventato dallo stesso Berlinguer, sebbene ora un'eventuale presa forzosa del potere potesse essere tentata da organizzazioni tanto filo-americane quanto filo-sovietiche. Il compromesso storico, in quest'ottica, poteva porre il paese al riparo da eventuali azioni dell'uno e dell'altro fronte.

Delle tante motivazioni addotte per spiegare le ragioni di un simile passo, le più elegante vuole che due grandi politici (il termine statisti non è per cause di fatto applicabile anche a Berlinguer) abbiano rispettivamente cercato interlocutori di pari calibro, forse stanchi di almanaccare possibili machiavelliche composizioni di coalizione con soggetti non casualmente di minor peso specifico.

Ad ogni buon conto, Berlinguer fu intanto ammesso, primo comunista italiano, a lavori para-governativi, come le riunioni dei segretari dei partiti della maggioranza, in qualità di esterno interessato.

Mentre Moro veniva definitivamente prosciolto dagli addebiti giudiziari in relazione allo scandalo Lockheed, che lo aveva infastidito sin da quando aveva cominciato a guardare ad una possibile intesa coi comunisti, si preparava nel marzo del 1978 il governo Andreotti, cui il PCI avrebbe dovuto fornire appoggio esterno (avrebbe cioè dovuto garantire astensione o favore, ma non opposizione), in attesa di una fase successiva nella quale ammetterlo definitivamente ed a pieno titolo nelle coalizioni. Nasceva, questo governo, con alcuni membri assolutamente sgraditi al PCI, come Antonio Bisaglia e Gaetano Stammati, la cui inclusione nella compagine ministeriale era stata operata da Andreotti giusto la notte precedente la presentazione alle Camere; insieme con Alessandro Natta, capogruppo alla Camera, Berlinguer dovette perciò sveltamente decidere di ritirare l'appoggio al governo, rinunciando alla partecipazione del PCI alla maggioranza.

La stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, e ad accordi appena infranti, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalle Brigate Rosse. Berlinguer intuì immediatamente la "calcolata determinazione" di un attacco che pareva studiato per mandare a pallino tutto il lavoro occorso per raggiungere la solidarietà nazionale e propose di concedere a questo pur non accetto governo la fiducia nel più breve tempo possibile, per potergli assicurare pienezza di funzioni in un momento cruciale della democrazia italiana. La fiducia fu dunque data, ma non senza che Berlinguer precisasse per bene che l'espediente di Andreotti, che suonava di repentina modifica unilaterale di accordi lungamente elaborati, era stato soltanto "superato dagli eventi", la questione non era in realtà affatto chiusa, solo rinviata. Se Moro non fosse stato rapito, il PCI avrebbe dato battaglia ad Andreotti, ma questo, "sia pure faticosamente e in modo non pienamente adeguato alla situazione", gli fu risparmiato.

Durante il sequestro Moro, Berlinguer prese posizione insieme al cosiddetto "fronte della fermezza", del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella dello statista. Dalla detenzione, Moro scrisse una frase che secondo alcuni era forse diretta al segretario comunista e ad Andreotti: "Il governo è in piedi e questa è la riconoscenza che mi viene tributata per questa come per tante altre imprese".

Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro, l'unico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Cossiga, che era ministro dell'interno. Il PCI restava fuori della maggioranza, Berlinguer non partecipava più alle riunioni a 6, insieme ai segretari del "pentapartito", il governo Andreotti restava dov'era, sempre con Bisaglia e Stammati a bordo.

Fu nel giugno del 1978, un mese dopo la morte di Moro, che esplose con inaudita virulenza il caso del presidente della Repubblica Giovanni Leone, che, grazie ad una campagna cui il PCI aveva già dato un contributo fondamentale (e che a questo punto certo non ritirò), fu costretto alle dimissioni. Oltre al rancore verso Andreotti, cui si doveva un governo diverso da quello concordato (e che avrebbe dovuto presentare dimissioni almeno di cortesia, in caso di elezione di un nuovo capo dello stato), si è supposto che la campagna scandalistica sia stata ulteriormente indurita da Berlinguer per poter insinuare al Quirinale qualcuno meno avvinto dalla pregiudiziale anticomunista di quanto non fossero stati i presidenti precedenti.

Quando si cominciò a parlare di Sandro Pertini come di un possibile candidato, si disse che Berlinguer avrebbe regalato uno dei suoi rari (almeno in pubblico) sorrisi: l'anziano esponente partigiano, sanguigno quanto radicale nei suoi modi, e non meno deciso nei suoi indirizzi, poteva sembrare davvero immune dalla voga anticomunista e lo si sospettava, lui che aveva addirittura sparato plateali fucilate contro una residenza di Umberto II di Savoia, assai distante da certe cerchie di intricati interessi di potere. Poteva essere, stimarono i comunisti, il momento di contare i voti delle sinistre, per verificare la possibilità di un "governo delle sinistre".

L'elezione di Pertini, in realtà, piaceva a molti settori della politica. Da parte dei socialisti, nel cui partito militava, vi era ovviamente la soddisfazione per la nomina di una figura amica, che avrebbe potuto accrescere la capacità di influenza del partito. Da parte democristiana (dalla quale si era barattata la candidatura con la persistenza al governo), Pertini era ritenuto poco pericoloso, almeno fintantoché fossero proseguiti i buoni rapporti con il Garofano. Ed anche i post-risorgimentali repubblicani, guardavano a possibili riprese di prestigio (e di influenza politica) con un nuovo scenario che premiava con la carica uno degli storici partiti italiani.

L'entusiasmo di Berlinguer fu però di breve durata, poiché non solo Andreotti non si dimise, ma addirittura successe a sé stesso, con l'Andreotti quinquies, sul principio dell'anno successivo.

Il PCI fu quindi escluso dalle relazioni fra i partiti della maggioranza, e si apprestò a tornare al suo ruolo di opposizione.

Dopo una legislatura da parlamentare europeo (eletto nel 1979 per le liste del PCI), in vista delle successive elezioni del 1984 Berlinguer si recò a Padova il 7 giugno, sul palco di Piazza dei Frutti, dove effettuò un appassionato comizio. Mentre si apprestava a pronunciare la frase "Compagni, lavorate tutti, casa per casa, strada per strada, azienda per azienda" venne colpito da un ictus. Evidentemente provato dal malore, continuò il discorso fino alla fine, nonostante anche la folla, dopo i cori di sostegno, urlasse: "Basta, Enrico!". Le persone che lo stavano ascoltando lo trasportarono in albergo dove si addormentò sul letto della sua stanza, entrando subito in coma. Venne chiamato un medico che constatò la gravissima situazione. Venne trasportato all'ospedale Giustinianeo, ma i soccorsi furono vani: un comunicato datato 11 giugno del sovrintendente sanitario affermò che il politico sardo era venuto a mancare alle 12:45.

Il Presidente della Repubblica Pertini, che si trovava già a Padova per ragioni di Stato, si recò in ospedale per constatare le condizioni di Berlinguer. Fece in tempo ad entrare in stanza per vederlo e baciarlo sulla fronte. Poche ore dopo il decesso, si impose per trasportare la salma sull'aereo presidenziale, citando la frase: "Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta". Commovente fu il suo saluto al funerale (13 giugno), al quale partecipò circa un milione di persone, dove si chinò con la testa sopra la bara, baciandola.

Il corteo con la bara, accompagnato dalla musica dell'Adagio di Albinoni sfilò dalla sede del PCI, in via delle Botteghe Oscure, a piazza S. Giovanni, rendendo così palese l'ammirazione che una larga parte dell'opinione pubblica italiana aveva nei suoi confronti. Persino il segretario del MSI Giorgio Almirante si recò a rendere omaggio al feretro dell'avversario suscitando lo stupore della folla in coda per entrare nella camera ardente. A ricevere Almirante fu Giancarlo Pajetta al quale venne dato l'incarico di pronunciare l'orazione funebre di Berlinguer.

Il giorno delle elezioni europee, il 17 giugno 1984 il PCI, nonostante la scomparsa di Berlinguer, decise di lasciare il suo segretario capolista e chiese di votarlo in modo plebiscitario. Le elezioni, forse anche per gli eventi precedenti, decretarono la vittoria del PCI che, per la prima ed unica volta nella storia, sorpassò seppur di poco la DC, affermandosi come primo partito italiano (33,3% contro quasi il 33,0%), ricordato come "l'effetto Berlinguer". Precedentemente, con Berlinguer, il PCI nel 1976 ha toccato il massimo storico del 34,4%.

Per decisione della famiglia, Berlinguer è stato sepolto a Roma nel Cimitero di Prima Porta, nonostante il Partito avrebbe voluto che fosse tumulato al Cimitero del Verano nel Mausoleo dove riposano i grandi dirigenti comunisti Togliatti, Giuseppe Di Vittorio, Luigi Longo e dove nel 1999 fu sepolta anche Nilde Iotti.

Soprannominato subito "il più amato" (a differenza di Palmiro Togliatti che era "il migliore"), Berlinguer fu succeduto alla guida del PCI da Alessandro Natta.

 

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Tratto da: Enrico Berlinguer. Wikipedia, L'enciclopedia libera.