San Francesco d'Assisi
San Francesco d'Assisi (nato come Giovanni di Pietro Bernardone; Assisi, 1181 o 1182 – Assisi, 3 ottobre 1226) è stato un religioso italiano.
Fondatore dell'ordine mendicante che da lui poi prese il nome, è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana). È stato proclamato patrono d'Italia da papa Pio XII nel 1939.
«Altissimu, onnipotente, bon Signore tue so' le laudi, la gloria, l'honore et onne benedictione» (Cantico delle Creature).
Conosciuto anche come "il poverello d'Assisi", la sua tomba è meta di pellegrinaggio per decine di migliaia di devoti ogni anno. La città di Assisi, a motivo del suo illustre cittadino, è stata assunta a simbolo di pace, soprattutto dopo aver ospitato i due grandi incontri tra gli esponenti delle maggiori religioni del mondo, promossi da Giovanni Paolo II nel 1986 e nel 2002.
Oltre all'opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle Creature, è riconosciuto come l'iniziatore della tradizione letteraria italiana.
Francesco d'Assisi e la sua vita sono state continuamente oggetto di interesse, ispirazione, imitazione, studio, confronto. Questo ha fatto sì che la narrazione biografica della sua vita sia stata connotata — fin dalle prime espressioni all'indomani della sua morte - da una grande varietà di significati e intenzioni, che inevitabilmente hanno indirizzato e influenzato la redazione della sua Vita.
Nel XVI secolo con fra Luca Wadding si mossero i primi tentativi di raccogliere documentazione storica su Francesco d'Assisi, cercando di distinguere tra storia e veneranda tradizione. Un momento di svolta in questo processo arrivò nel corso del XIX secolo, quando lo storico francese Paul Sabatier avanzò la teoria che tutte le biografie francescane "ufficiali" (quelle di Tommaso da Celano e, in modo particolare, quella di Bonaventura da Bagnoregio) sarebbero irrimediabilmente compromesse dall'intenzione "politica" degli autori, mentre più fedeli al "vero Francesco" sarebbero le biografie "ufficiose". In particolare nello Speculum perfectionis, da lui riscoperto, si potrebbe rintracciare la narrazione più affidabile sul santo di Assisi. Tale posizione ha scatenato nel tempo accesi dibattiti, stimolando nel contempo un approfondimento straordinario della ricerca storica su san Francesco.
Francesco nacque nel 1181 o 1182 da Pietro Bernardone dei Moriconi e dalla nobile Pica Bourlemont, in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi, che, grazie all'attività di commercio in Provenza (Francia), aveva raggiunto ricchezza e benessere. Sua madre lo fece battezzare col nome di Giovanni (dal nome dell'apostolo Giovanni) nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il martire Rufino, cattedrale dal 1036. Tuttavia il padre decise di cambiargli il nome in Francesco, insolito per quel tempo, in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna.
La sua casa, situata al centro della città, era provvista di un fondaco utilizzato come negozio e magazzino per lo stoccaggio e l'esposizione di quelle stoffe che il mercante si procurava con i suoi frequenti viaggi in Provenza. Pietro vendeva la sua pregiata merce in tutto il territorio del Ducato di Spoleto che comprendeva, all'epoca, anche la città di Assisi. Attualmente in corrispondenza dell'abitazione dei Bernardone, sorge la chiesa Nuova, costruita nel 1615 a spese del re Filippo III di Spagna.
Le varie agiografie del santo non parlano molto a proposito della sua infanzia e della sua giovinezza: è comunque ragionevole ritenere che egli fosse stato indirizzato dal padre a prendere il suo posto negli affari della famiglia.
Dopo la scuola presso i canonici della cattedrale, che si teneva nella chiesa di San Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l'attuale basilica di Santa Chiara) a 14 anni Francesco si dedicò a pieno titolo all'attività del commercio. Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni.
Nel 1054 si ha memoria di una guerra che contrappose Assisi a Perugia: tra le due città esisteva una rivalità irriducibile, che si protrasse per secoli. L'odio aumentò con il fatto che Perugia si schierò con i guelfi, mentre Assisi parteggiò per la fazione ghibellina. Non fu una scelta felice, quella degli assisani in quanto, nel 1202, subirono una cocente sconfitta a Collestrada vicino a Perugia.
Anche
Francesco, come gli altri giovani, andò in guerra; venne
catturato e rinchiuso in carcere. L'esperienza della guerra
e della prigionia lo sconvolsero a tal punto da indurlo ad
un totale ripensamento della sua vita. Fu in questo periodo
che iniziò un cammino di conversione, che col tempo lo portò
«a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo
nell'intimità del cuore».
La guerra terminò nel 1203 e Francesco, gravemente malato,
dopo un anno di prigionia ottenne la libertà grazie ad un
trattato sui prigionieri di guerra che, in caso di malattia,
ne imponeva la liberazione dietro il pagamento di un
riscatto, incombenza a cui provvide il padre.
Tornato a casa, Francesco recuperò gradatamente la salute
trascorrendo molte ore tra i possedimenti del padre. Secondo
Celano furono questi luoghi appartati che contribuirono a
risvegliare in lui un assoluto e totale amore per la natura,
che vedeva come opera mirabile di Dio.
Sogno delle armi, Assisi, Basilica Superiore « Alto e
Glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio... »
(Preghiera di san Francesco davanti al Crocifisso di San
Damiano)
Da un punto di vista storico le circostanze della
conversione di san Francesco non sono state chiarite e si
hanno notizie solo attraverso le agiografie. Pare che abbia
giocato un ruolo la sua volontà frustrata di farsi cavaliere
e di partire per la crociata, ma soprattutto un crescente
senso di compassione che gli ispiravano i deboli, i reietti,
gli ammalati, gli emarginati: questa compassione si sarebbe
trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso
il prossimo.
Nel 1204-1205 provò infatti a partire per la quarta
crociata: si trattava di raggiungere a Lecce la corte di
Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri
cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come
cavaliere ad una crociata era a quel tempo considerato uno
dei massimi onori per i cristiani d'Occidente. Tuttavia,
giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente. Avrebbe raccontato
in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni
notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d'armi,
ed udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato
suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce
chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o
il padrone»: alla risposta: «Il padrone», la voce rispose:
« Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il
servo? »
Dopo questo sogno, Francesco rinunciò al proprio progetto e
tornò ad Assisi. Da allora egli non fu più lo stesso uomo.
Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare. Un
giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una
partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai
poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise
a chiedere l'elemosina davanti alla porta di San Pietro.
Anche il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone
mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a
dargli l'elemosina, lo abbracciò e lo baciò. Come racconterà
lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva
sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo
episodio, scrisse che
« ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza
d'anima e di corpo »
(dal Testamento di san Francesco, 1226)
Ma è nel 1205 che avvenne l'episodio più importante della
sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano,
raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre
volte gli disse: «Francesco, va' e ripara la mia casa che,
come vedi, è tutta in rovina».
Dopo quell'episodio, le "stranezze" del giovane si fecero
ancora più frequenti: Francesco fece incetta di stoffe nel
negozio del padre e andò a Foligno a venderle, vendette
anche il cavallo, tornò a casa a piedi e offrì il denaro
ricavato al sacerdote di San Damiano perché riparasse quella
chiesina. Pietro di Bernardone diventò furente; molti ad
Assisi furono solidali con quel padre che vedeva tradite le
proprie aspettative: Francesco nella sua eccessiva
generosità poteva essere interpretato come uno che dava
sintomi di squilibrio mentale e così sicuramente lo intese
il padre.
Giotto, San Francesco rinuncia alle vesti, Basilica
Superiore di AssisiPietro cercò, all'inizio, di segregare
Francesco per nasconderlo alla gente. Poi, vista la sua
impotenza di fronte all'irriducibile "testardaggine" del
figlio, decise di denunciarlo ai consoli per interdirlo e
diseredarlo, non tanto per il danno economico subito, quanto
piuttosto con la segreta speranza che, sotto la pressione
della pena del bando dalla città, il ragazzo cambiasse
atteggiamento.
Il giovane, però, si appellò ad un'altra autorità: fece
ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di
gennaio (o febbraio) del 1206, all'aperto, sulla piazza di
Santa Maria Maggiore, davanti al palazzo del vescovo; «tutta
Assisi» fu presente al giudizio.
Francesco, non appena il padre finì di parlare,
« non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece
parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li
restituì al padre [...] e si denudò totalmente davanti a
tutti dicendo al padre: "Finora ho chiamato te, mio padre
sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza:
Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto
ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia
speranza". »
Francesco diede così inizio ad un nuovo percorso di vita. Il
vescovo Guido lo coprì pudicamente agli sguardi della folla
(pur non comprendendo a pieno quel gesto plateale). Con
quest'atto di manifesta protezione si volle leggere
l'accoglienza di Francesco nella Chiesa.
Da uomo nuovo Francesco cominciò il suo viaggio:
nell'inverno 1206 partì per Gubbio, dove il giovane aveva da
sempre diversi amici, tra cui Federico Spadalonga, che lo
accolse benevolmente. Qui egli, «amante di ogni forma di
umiltà, si trasferì presso i lebbrosi restando con loro e
servendo a loro tutti con somma cura.» Si trattava del
lebbrosario intitolato a san Lazzaro di Betania, e nel suo
Testamento disse chiaramente che la vera svolta verso la
piena conversione ebbe inizio per lui quando si era
accostato a queste persone. Francesco non vi ebbe mai una
fissa dimora: solamente diversi anni più tardi (nel 1213) il
beato Villano, vescovo di Gubbio e benedettino dell'abbazia
di San Pietro, concesse ai frati di stabilire una loro sede
nell'antica Santa Maria della Vittoria, che la tradizione
indica come il luogo in cui Francesco ammansì il lupo.
PorziuncolaArrivata l'estate e placatosi lo scandalo
sollevato dalla rinuncia dei beni paterni, Francesco ritornò
ad Assisi. Per un certo periodo se ne stette solo, impegnato
a riparare alcune chiese in rovina, come quella di San
Pietro (al tempo, fuori le mura), la Porziuncola a Santa
Maria degli Angeli e San Damiano.
I primi anni della conversione furono caratterizzati dalla
preghiera, dal servizio ai lebbrosi, dal lavoro manuale e
dall'elemosina. Francesco scelse di vivere nella povertà
volontaria, ispirandosi all'esempio di Cristo, lanciando un
messaggio opposto alla società duecentesca dalla facili
ricchezze. Il mondo di allora era il trionfo del denaro,
della cultura, della scienza e Francesco rinunciò a queste
attrattive, vivendo gioiosamente come un ignorante, un
"pazzo" ovvero un "giullare", dimostrando come la sua
obiezione ai valori fondanti della società di allora potesse
generare una perfetta letizia. In questo senso il suo
esempio aveva un che di sovversivo rispetto alla mentalità
del tempo.
Il 24 febbraio 1208, giorno di san Mattia, dopo aver
ascoltato il passo del Vangelo secondo Matteo nella chiesa
di San Nicolò ad Assisi, Francesco sentì fermamente di dover
portare la Parola di Dio per le strade del mondo. Iniziò
così la sua predicazione, dapprima nei dintorni di Assisi.
Ben presto altre persone si aggregarono a lui e, con le
prime adesioni, si formò il primo nucleo della comunità di
frati. Il primo di essi fu Bernardo di Quintavalle, suo
amico d'infanzia. Tra gli altri si ricordano Pietro Cattani,
Filippo Longo di Atri, frate Egidio, frate Leone, frate
Masseo, frate Elia Bombarone, frate Ginepro. Insieme ai suoi
compagni, Francesco iniziò a portare le sue predicazioni
fuori dall'Umbria.
Nel 1209, quando Francesco ebbe raccolto intorno a sé dodici
compagni, si recò a Roma per ottenere l'autorizzazione della
regola di vita, per sé e per i suoi frati, da parte di papa
Innocenzo III. Dopo alcune esitazioni iniziali, il Pontefice
concesse a Francesco la propria approvazione orale per il
suo «Ordo fratum minorum»: a differenza degli altri ordini
pauperistici, Francesco non contestava l'autorità della
Chiesa, ma la considerava come "madre", e le offriva sincera
obbedienza. Francesco era la personalità ideale per
Innocenzo, che poteva finalmente incanalare le inquietudini
e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili nel seno
della Chiesa, senza porsi come antagonista ad essa
scivolando nell'eresia.
Del testo presentato al Papa non ci è rimasta purtroppo
traccia. Gli studiosi pensano, tuttavia, che esso
consistesse principalmente in brani tratti dal Vangelo, che
col passare degli anni, insieme ad alcune aggiunte,
confluirono a formare la «Regola non bollata», che Francesco
scrisse alla Porziuncola nel 1221.
Di ritorno da Roma, i frati si installarono in un "tugurio"
presso Rivotorto, sulla strada verso Foligno, luogo scelto
perché vicino ad un ospedale di lebbrosi. Tale posto
tuttavia era umido e malsano, e i frati dovettero
abbandonarlo l'anno successivo, stabilendosi presso la
piccola badia di Santa Maria degli Angeli, sulla pianura del
Tescio, in località Porziuncola. Abbandonata in mezzo al
bosco di cerri, venne concessa a Francesco e ai suoi frati
dall'Abate di San Benedetto del Subasio.
Questa nuova «forma di vita» attirò anche le donne: la prima
fu Chiara Scifi, figlia del nobile assisiate Favarone di
Offreduccio. Nella notte della Domenica delle Palme del 1211
(o del 1212), a Santa Maria degli Angeli, chiese a Francesco
di poter entrare a far parte del suo ordine, e quella stessa
notte ricevette l'abito religioso dal santo. Francesco la
sistemò per un po' di tempo prima presso il monastero
benedettino di Bastia Umbra, poi in quello di Assisi. In
seguito, quando altre ragazze (fra cui anche la sorella di
Chiara, Agnese) seguirono il suo esempio, presero dimora
nella chiesetta di San Damiano.
Ben viva era all'epoca la vicenda dei catari, eretici che
predicavano un dualismo Bene/Male portato alle estreme
conseguenze. Essi avevano avuto numerosi focolai nella
vicina Toscana e si erano ridotti alla clandestinità dopo la
sanguinosa crociata albigese del 1209. Francesco avrebbe
potuto essere scambiato per un cataro per la sua povertà e
la predicazione ai ceti subalterni.
Ma Francesco e i suoi seguaci si distinguevano in molteplici
aspetti: innanzitutto essi non mettevano in dubbio la
gerarchia della Chiesa. Francesco stesso infatti insisteva
sulla necessità che si amassero e si rispettassero i
sacerdoti. Portato una volta davanti a un prete che viveva
notoriamente in peccato, forse affinché cadesse in
contraddizione (se egli non lo avesse denunziato si sarebbe
potuto dire che era suo complice, se egli lo avesse fatto si
sarebbe detto che Francesco non rispettava la gerarchia),
Francesco si limitò a baciare le mani di quel sacerdote,
"che toccano il corpo di Gesù Cristo".
Inoltre Francesco non si rifiutava di mangiare alcuni cibi rifiutati dai catari (come carni, latte, uova), anzi accettava tutto quello che gli veniva offerto. Infine la differenza tra l'avversione al "mondo della Materia" (il creato) dei catari e l'amore per tutte le manifestazioni di vita di Francesco non poteva essere più stridente. Lo stesso Cantico delle creature può essere letto come un perfetto trattato di teologia anti-catara. Il suo amore per la natura e gli animali (come la leggendaria predica agli uccelli a Gubbio) erano superati solo dall'amore verso gli esseri umani: la pace interiore per Francesco non era una semplice serenità, ma non poteva prescindere dalla capacità di amore, di perdono e la gioia di vivere.
Col tempo la fama di Francesco crebbe enormemente e crebbe notevolmente anche la schiera dei frati. Nel 1217 Francesco presiedette il primo dei capitoli generali dell'Ordine, che si tenne alla Porziuncola: questi sorsero con l'esigenza di impostare la vita comunitaria, di organizzare l'attività di preghiera, di rinsaldare l'unità interna ed esterna, di decidere nuove missioni, e si tenevano ogni due anni. Con il primo fu organizzata la grande espansione dell'ordine in Italia e furono inviate missioni in Germania, Francia e Spagna.
Nel 1219, si recò ad Ancona per imbarcarsi per l'Egitto e la Palestina: in occasione della quinta crociata voleva portare un messaggio cristiano di pace incontrandosi anche con i musulmani. Durante questo viaggio ottenne dal legato pontificio di poter incontrare lo stesso sultano ayyubide al-Malik al-Kamil, nipote di Saladino, per potergli proclamare la Buona Novella e metter fine alle guerra fra cristiani e musulmani. Egli non riuscì tuttavia nel suo intento, ma suscitò profonda ammirazione nel sultano che lo vide come un sant'uomo e lo trattò con rispetto: dopo aver offerto invano a Francesco numerose ricchezze, lo lasciò tornare incolume all'accampamento dei crociati. Nell'agiografia Francesco subì anche la prova del fuoco, raffigurata in numerosi cicli dipinti.
La pacifica rivoluzione che il nuovo Ordine stava compiendo cominciò ad essere palese a tutti. Iniziarono però anche i primi problemi: Francesco temeva che, ingrandendosi senza controllo, la fraternità dei Minori deviasse dai propositi iniziali. Per dare l'esempio e per potersi dedicare completamente alla sua missione, nel 1220 Francesco rinunciò al governo dell'Ordine in favore dell'amico e seguace Pietro Cattani, che però morì l'anno seguente. Al successivo Capitolo Generale (detto «delle Stuoie», giugno 1221) venne scelto come vicario frate Elia.
Nel 1223, con la bolla «Solet annuere», papa Onorio III approvò definitivamente la «Regola seconda» (che rispetto alla prima è più corta e contiene meno citazioni evangeliche), che fu redatta con l'aiuto del cardinale Ugolino d'Ostia (il futuro papa Gregorio IX). La doppia stesura della regola a distanza ravvicinata testimonia un ripensamento a fronte di difficoltà nel progetto; egli, pur non condannando in sé né la ricchezza, né la sapienza, né il potere, si rendeva conto che i frati che liberamente avevano deciso di seguirlo e di seguire la sua regola di vita stavano diventando colti e accettavano doni e ricchezze (anche se formalmente questi erano incamerati dalla Santa Sede). Non è difficile immaginare che qualcuno, magari usando la scusa di poter meglio servire il prossimo, avesse richiesto più volte una limatura della regola del 1221 e alla fine Francesco cedette, pretendendo però questa volta una fedeltà assoluta, accettandola "senza commento", cioè senza interpretazioni.
Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (in provincia di Rieti, sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, sarebbe apparso nella culla un bambino in carne ed ossa, che Francesco prese in braccio. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
Oltre alla vita attiva Francesco, forse ammalato, sentiva continuamente l'esigenza di ritirarsi in posti solitari per ritemprarsi e pregare (come, ad esempio, l'Eremo delle carceri di Assisi, sulle pendici del monte Subasio; l'Isola Maggiore sul lago Trasimeno; l'Eremo delle Celle a Cortona). Tali posti offrivano al frate il silenzio e la pace che gli consentivano una più intima preghiera.
Secondo le agiografie, il 17 settembre 1224, due anni prima della morte, mentre si trovava a pregare sul monte della Verna (luogo su cui in futuro sorgerà l'omonimo santuario), Francesco avrebbe avuto una visione, al termine della quale gli sarebbero comparse le stigmate: «sulle mani e sui piedi presenta delle ferite e delle escrescenze carnose, che ricordano dei chiodi e dai quali sanguina spesso». Tali agiografie raccontano inoltre che sul fianco destro aveva una ferita, come quella di un colpo di lancia. Fino alla sua morte, comunque, Francesco cercò sempre di tenere nascoste queste sue ferite.
Nell'iconografia tradizionale successiva alla sua morte, Francesco è stato sempre raffigurato con i segni delle stimmate. Per questa caratteristica Francesco è stato definito anche «alter Christus». La condivisione fisica delle pene di Cristo offriva un nuovo volto al cristianesimo, partecipe non più solo del trionfo, simbolizzato dal Cristo in gloria.
Negli anni seguenti Francesco fu sempre più segnato da molte malattie (soffriva infatti di disturbi al fegato ed alla vista). Varie volte gli furono tentati degli interventi medici per lenirgli le sofferenze, ma inutilmente. Nel giugno 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dopo una notte molto tormentata dettò il "Testamento", che vorrebbe fosse sempre legato alla "Regola", in cui esorta l'ordine a non allontanarsi dallo spirito originario.
Nel settembre 1226 Francesco si trovava ad Assisi, nel palazzo del vescovo, dove era stato portato per essere meglio curato. Egli però chiese ed ottenne di voler tornare a morire nel suo "luogo santo" preferito: la Porziuncola. Qui la morte lo colse la sera del 3 ottobre.
Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in San Damiano, per essere mostrato un'ultima volta a Chiara ed alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio. Da qui la sua salma venne trasferita nell'attuale basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).
Tratto da: San Francesco d'Assisi. Wikipedia, L'enciclopedia libera.