Robert Louis Stevenson

 

Robert Louis Balfour Stevenson (Edimburgo, 13 novembre 1850 – Samoa, 3 dicembre 1894) è stato uno scrittore scozzese. Figlio di un ingegnere edile, temperò la malinconia e la durezza del carattere scozzese col brio e la gaiezza, che gli derivavano dall’origine francese della madre, Margaret Isabella, figlia del rev. Lewis Balfour, parroco di Colinton.

S’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Edimburgo, dove lo studio passò però in secondo piano, preferendo dedicarsi alla letteratura – una passione che aveva sviluppato quand’era ancora ragazzo – e ad una vita irregolare e spregiudicata che gli indebolì la salute, costringendolo a trascorrere parecchi mesi in un clima più salubre, come quello della Francia meridionale.

Nel 1871 cominciò a collaborare come letterato alla Edinburgh University Magazine e a Portaolio, da cui si fece pubblicare alcuni saggi. È solo nel 1878, tuttavia, con la pubblicazione di An Inland Voyage (Un viaggio nell’entroterra) – impressioni di un viaggio in canoa attraverso i fiumi e i canali della Francia settentrionale – l’analogo resoconto dei Travels with a Donkey in the Cevennes (Viaggi con un asinello attraverso le Cevennes), che egli riuscì ad affermare il suo geniale spirito d'osservazione e il suo delizioso umorismo, acuitosi probabilmente col popolo e la letteratura francese.

Nel corso di questi viaggi egli aveva conosciuto Fanny Osbourne, un’americana madre di due figli, della quale si era innamorato e con la quale si sposò in California nel 1879. Frutto del suo viaggio nel West fu il volume The Silverado Squatters (I cercatori d'argento), pubblicato successivamente nel 1883.

Ritornato in Europa nel 1880, Stevenson entra in una fase di grande attività creativa che, tenuto conto della sua sempre precarissima salute, sfocia in una produzione davvero ragguardevole sia per mole che per valore. Nel 1881 e nel 1882 pubblica i saggi e le novelle, scritti fino a quella data, rispettivamente nei volumi Virginibus Puerisque e The New Arabian Nights (Le nuove Mille e una notte). Sempre nel 1882 scrive Familiar Studies of Men and Books (Studi senza pretese su uomini e libri), che contiene il massimo contributo di Stevenson alla critica letteraria, con saggi di Hugo, Whitman, Thoreau, Burns.

Nel frattempo la sua salute aveva risentito dello strapazzo, tanto che non gli si davano che pochi mesi di vita, e lo scrittore, dalla Scozia, dov’era tornato dopo essersi rappacificato con la famiglia, fu nuovamente costretto a vagabondare per le principali stazioni climatiche europee, da Davos a Hyères e poi a Bournemouth. In questi anni scrisse: nel 1861, il romanzo storico Kidnapped (Il ragazzo rapito); nel 1886 The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr Hyde (Lo strano caso del dr. Jekyll e mr. Hyde). Questi romanzi contribuirono molto ad estendere quella popolarità che la pubblicazione di Treasure Island (L'isola del tesoro), pubblicato nel 1883, gli aveva procurato.

Nel 1887, dopo la morte del padre, Stevenson ritornò in America, dove enorme era stato il successo di dr. Jekyll. Ma la salute cagionevole l’obbligò ben presto a ritirarsi nella stazione climatica di Saranac, dove iniziò a scrivere nel 1889 The Master of Ballantrae (Il signore di Ballantrae) e il resoconto farsesco The Wrong Box (La cassa sbagliata), finché, spinto anche dai libri d’avventure esotiche di Herman Melville, accettò l’invito di un editore di scrivere un volume sui mari del Sud e partì, con la famiglia, per una crociera verso le isole Marchesi (Polinesia francese), Tahiti e le isole Sandwich.

Il viaggio fu positivo sotto ogni punto di vista, tranne per il libro, giacché il lavoro su ordinazione non era cosa per lui. La sua salute però, sorprendentemente, migliorò in modo così notevole che lui decise di stabilirsi nel Pacifico e, dopo un’ulteriore esplorazione dei vari arcipelaghi ed un soggiorno d’alcuni mesi ad Honolulu (dove finì i due libri sopraccitati), scelse la sua dimora a Upolu, la principale delle isole Samoa. Qui egli visse dal 1890 fino alla sua morte, riverito dagl’indigeni che lo chiamavano Tusitala, (“narratore di storie”). A questo periodo risalgono, tra gli altri, il seguito di Kidnapped, Catriona (1893), i Records of a Family of Engineers (Ricordi di una famiglia d’ingegneri, uscito postumo nel 1912), quattro racconti dei mari del Sud, pubblicati col titolo An Island Night’s Entertainments (Passatempi di una notte nell’isola, 1893), e parecchie ballate, poesie e raccolte d’impressioni.

La morte, per la rottura di un vaso sanguigno, lo spense mentre stava scrivendo un tragico racconto sulla frontiera scozzese, Weir of Hermiston (Weir di Hermiston, 1896), che avrebbe costituito probabilmente il suo capolavoro.

Stevenson fu essenzialmente un romanziere e, nel genere avventuroso, Treasure Island rimane insuperato. Tuttavia la sua cultura e la sua educazione lo portavano piuttosto al romanzo storico, ad esaltare, sulle orme di Walter Scott, le gloriose vicende della vecchia Scozia, la cui atmosfera seppe evocare pure in terre lontane, in maniera così piena e vera da non far rimpiangere il modello.

Nacquero così Prince Otto (1885), Kidnapped, probabilmente il migliore della serie, col suo seguito Catriona, The Black Arrow (1888), The Master of Ballantrae, che presentava, non senza sottigliezze psicologiche, il conflitto tra un mascalzone e un maniaco narrato da un codardo, e gli incompiuti St. Ives (1897) e Weir of Hermiston. In quest’ultimo, i difetti tipici degli altri romanzi, quali una certa artificiosità di costruzione ed un’eccessiva semplificazione, sembrano venir superati, mentre d’altro canto, si ha una maggiore caratterizzazione dei personaggi (anche di quelli femminili che, trascurati fino ad allora dall’autore, vengono qui per la prima volta compresi e dipinti con viva penetrazione).

L’autore eccelse anche nel racconto, sia nel fantastico, come quelli raccolti in The New Arabian Nights e nel seguito The Dyinamiter (1885), che nell’esotico, come pure nel racconto del brivido alla maniera di E. A. Poe (il suo The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, in cui affrontava simbolicamente il problema del subcosciente e dello sdoppiamento della personalità, rimane un classico del genere).

Fu tutt’altro che trascurabile anche la sua produzione poetica, da A Child’s Garden of Verses (Il giardino di versi del fanciullo, 1855), in cui rivive liricamente le esperienze della sua fanciullezza, a Underwoods (Sottobosco, 1887), per finire con Ballads (1889) ed alla raccolta postuma Songs of Travel (Canti di viaggio, 1896).

È probabile tuttavia che la migliore produzione di Stevenson non risieda tanto nei romanzi, nei racconti o nelle liriche, quanto nei saggi, moraleggianti ma spontanei, alla maniera dello Spectator, e soprattutto nelle meravigliose raccolte d’impressioni che accompagnarono le sue peregrinazioni per il mondo, specialmente nelle isole del Pacifico. È nell’affascinante raccolta pubblicata postuma nel 1896, col titolo In The South Seas (Nei mari del Sud), che l’efficacia narrativa e descrittiva dello scrittore raggiunge il massimo splendore e meglio hanno modo di risaltare la sua enorme sensibilità e la sua fresca curiosità. A ciò contribuisce anche lo stile, non più ornato dagli arcaismi necessari al romanzo storico, eppure ancora di chiara derivazione letteraria, da Thomas Browne e da John Bunyan. Tuttavia, se evidenti sono le derivazioni, il risultato è dei più originali, poiché lo stile di Stevenson, sin dalle prime opere caratterizzato dalla delicatezza dei ritmi e dalla limpidezza delle frasi, aveva saputo con gli anni acquistare spontaneità ed affiancarsi alla scelta del tema esotico nel significare la reazione di Stevenson all’epoca vittoriana, al suo mondo familiare e borghese e al suo stile piatto ed uniforme.

Giacché Stevenson, benché vissuto nella seconda metà del XIX secolo, col suo entusiasmo per il mondo che ci circonda e col suo stupore e il suo incanto di fronte alla forza e all’intensità di una natura selvaggia e non guastata dalla civiltà, pare piuttosto da accostare all’ardore del primo romanticismo, egualmente lontano dall’ipocrisia vittoriana e dagli eccessi del realismo.

La formazione culturale ed umana di Stevenson va ascritta alla sua infanzia, come lui stesso ebbe a dire nell’autobiografico Memoirs of Himself (1880): “Le mie sofferenze quand’ero malato, le gioie della convalescenza… e l’attività innaturale del mio cervello”. Con queste parole, infatti, l’autore non solo sintetizza le sue esperienze infantili, ma sembra anche indicare le componenti fondamentali della sua ispirazione letteraria, vale a dire la sofferenza, il gioco e la fantasia. Anche in A Charter of Dreams, in cui fra l’altro spiega la genesi del Dr. Jekyll and Mr. Hyde, Stevenson richiama alla mente i sogni – talvolta banali, a volte meno strani o informi – che lo tormentavano da bambino: “una sfumatura di bruno di cui non gli importava nulla quando era sveglio, ma che temeva e aborriva nel sogno”. Reminiscenze dell’infanzia compaiono, del resto, ripetutamente nell’opera di Stevenson. Basti menzionare The Lantern Bearers, The Manse, Child’s Play, e tutte le poesie contenute nella raccolta intitolata A Child’s Garden of Verses. Non è facile, tuttavia, stabilire se sia stato il bambino gracile e sognatore a condizionare le scelte letterarie dell’adulto o se lo scrittore abbia cercato nell’infanzia la conferma della propria vocazione per la narrativa fantastica ed avventurosa.

È certo però che una certa influenza sulla formazione di un giovanissimo Stevenson la ebbe la bambinaia Cummy (Alison Cunningham), cui dedicò A Child’s Garden of Verses; a lei era stato affidato presumibilmente perché la madre era ammalata. Questa puericultrice aveva, infatti, una forte personalità e convinzioni religiose calviniste che cercò di trasmettere all’autore. Era però anche una donna dalla fervida immaginazione, che sapeva raccontare storie con impeto drammatico, come s’apprende dalla testimonianza indiretta della moglie di Stevenson, contenute nella prefazione alla raccolta di poesie dedicate alla bambinaia.

Dunque dai giochi dell’infanzia (rimasti a sedimentare nella psiche), come il teatrino di Skelt (grandi di fogli da ritagliare e colorare per comporre scenografie ispirate alle Mille e una notte o alla leggenda di Robin Hood) o da altri dov’è quasi sempre presente l’elemento avventuroso riaffioreranno più avanti al momento della creazione artistica quei motivi peculiari alla sua attività di scrittore immaginario e fantastico. Nel Capitolo sui sogni – un’indagine molto acuta dei processi creativi e forse anche più in generale di quelli psichici – lo scrittore confesserà d’avere come collaboratori instancabili, sia nel sonno che nella veglia, “quegli uomini che dirigono il teatrino che c’è in ognuno di noi”. Invece dagli scritti The Lantern Bearers, in cui descrive gli avventurosi giochi svolti nella sua infanzia, e in Child’s Play emerge un’immagine dickensiana dell’infanzia, come età in cui si mescolano terrori e fantasie. Così i ragazzi che si divertono a portare, nascosta sotto una giacca, una lanterna puzzolente di stagno o il bambino che stringe d’assedio una poltrona, come fosse un castello, sono proiezioni mitiche di un mondo perduto che l’adulto può recuperare solo grazie alla capacità di un artista che non obbedisca agl’imperativi del realismo, ma lascia libero il bambino che è in lui.

Una relativa importanza nella formazione dell’autore ebbero anche le storie tratte dalla Bibbia, Il pellegrinaggio del cristiano di Bunyan, il Macbeth di Shakespeare e il Robinson Crusoe di Daniel Defoe. Intorno ai diciassette anni, il bambino gracile, sognatore e timoroso di Dio si tramutò in un giovanotto scapestrato e ribelle, effettuando un apprendistato diverso da quello previsto dal padre e poi professandosi miscredente. In quegli anni imparò a conoscere la sua città sia negli aspetti più palesi sia in quelli più nascosti, come s’evince dalle descrizioni fatte a Edimburgo: Picturesque Notes e in una dei New Poems. Un simile comportamento, molto frequente nelle famiglie vittoriane negli ultimi decenni del secolo, era principalmente provocato dalla diffusione della teoria evoluzionista di Charles Darwin e dalla sociologia di Spencer, che inducevano i giovani ad assumere atteggiamenti di ribellione nei confronti della religione e del codice morale repressivo imposto dalla società. Tuttavia un certo pragmatismo di marca puritana rimase in Stevenson sino alla fine della sua vita, insieme ad un radicato senso della famiglia, tanto che nella sua opera non sembra emergere alcuna testimonianza di quello scontro fra la vecchia generazione timorata di Dio ed avversa alla letteratura e i giovani intellettuali agnostici.

L’incontro, a Cockfield, con la signora Francis Sitwell e con Sidney Colvin, avvenuto nel 1873, fu uno dei momenti più importanti della sua vita, quello che avrebbe determinato le future scelte letterarie dell’autore, mentre nel 1874 entrò al Sevil Club, dove incontrò importanti personaggi della cultura, tra cui Gosse ed Henry James.

Se il soggiorno a Cockfield gli aprì le porte della scena letteraria, la sosta in Francia gli dischiuse le porte dell’amore e dell’avventura in terre lontane, proiettandolo concretamente negli spazi che aveva solo percorso con la fantasia. Frutto del soggiorno francese sono, innanzitutto, le opere An Inland Voyage e Travels with a Donkey in the Cevénnes, accomunate entrambe dal dichiarato amore per la vita nomade ed avventurosa e il mito romantico della solitudine a contatto con la natura. La seconda opera è invece caratterizzata da un tono più serio e meno svagato: il viaggiatore è qui attratto dalla storia tormentata dei luoghi che attraversa, un tempo teatro di sanguinose lotte fra Cattolici e Protestanti. Ciò gli permette di delineare paralleli con la storia della Scozia e di meditare sul significato e le motivazioni della ribellione dei Protestanti e sulla loro vocazione al martirio.

Sempre in Francia incontrò Fanny Osborne, della quale s’innamorò e che più tardi raggiungerà negli Stati Uniti. Frutto di questo viaggio è la stesura di Amateur Emigrant, opera nella quale Stevenson descrive – fra distacco ironico e coinvolgimento emotivo, tra crudo realismo e slancio sentimentale – le sofferenze, i malanni degli emigranti, ma anche i giochi dei bambini e gli scherzi; insomma un documento realistico dei disagi affrontati da una folla di diseredati per garantirsi la pura sopravvivenza. Il tema degli emigranti fu poi ripreso nell’altrettanto sfortunato romanzo Across the Plains che, nel registrare le traversie degli emigranti durante il lungo e disagevole viaggio in treno dall’Atlantico al Pacifico, demoliva non solo il mito dell’America, ma anche quello della Frontiera che Stevenson aveva conosciuto attraverso i romanzi di Fenimore Cooper. Entrambe le opere, criticate da Colvin, non ebbero molto successo.

Nel successivo romanzo, The Silverado Squatters (che racconta, sublimando, la sua poco felice luna di miele a Silverado con la Osborne), Stevenson, memore della lezione inflittagli da Colvin, attua un processo di sublimazione del reale attraverso lo humour e la fantasia. È così che il soggiorno nella bicocca assediata dalle erbacce, dai crotali e dal pietrisco diventa un’avventura sognata, in un luogo fantastico pieno di luci, suoni e profumi nel quale i protagonisti della vicenda divengono personaggi da fiaba sul punto di prender possesso di un regno incantato. In tal modo vengono anche lasciati fuori gli aspetti riguardanti il rapporto amoroso tra un uomo ed una donna, rimanendo così legato alla morale vittoriana.

Chiusasi definitivamente la fase dell’autobiografismo, Stevenson decise di dedicarsi al romance, su cui egli scrisse tre saggi, A Gossip on Romance e A Humble Remonstrance. In essi l’autore difende la narrativa romanzesca o fantastica dagli attacchi degli assertori ad oltranza del realismo, mostrando una profonda consapevolezza dei processi psichici ed immaginativi che stanno alla base della scrittura: “l’apoteosi e la sublimazione dei sogni ad occhi aperti dell’uomo comune. I suoi racconti possono essere alimentati dalla realtà della vita, ma il loro scopo e la loro caratteristica più vera consisteranno a rispondere ai desideri inconfessati e indistinti del lettore, a seguire la logica ideale del sogno” (A Gossip on Romance). Inoltre egli continuerà a rivendicare al romanzo d’avventure il compito di far affiorare i desideri inconsci e le fantasie adolescenziali, che si celano sotto l’apparenza pragmatica e moralistica dell’adulto. In A Gossip on Romance compare anche un insistente richiamo al Robinson Crusoe di Defoe (prototipo settecentesco del realistico, ma anche del romanzo d’avventura) il quale, rispetto agli altri rifacimenti (La famiglia Robinson svizzera o L’isola misteriosa di Vernes), ha la capacità di conferire anche ai dettagli più banali un fascino irresistibile, in quanto il Robinson Crusoe possiede tutte le qualità che si richiedono ad un romanzo, tranne la capacità pittorica, o anche di evocare immagini fantastiche.

E fu proprio questa capacità evocativa che Stevenson cercò di realizzare in Treasure Island, il cui tema centrale è l’avventura in luoghi esotici, anche se trattasi fondamentalmente di un racconto di formazione: il viaggio iniziatico di Jim Hawkins alla ricerca del tesoro dei pirati, sotterrato in un’isola lontana a forma di drago, compiuto da un gruppo d’ Inglesi.

Con A Gossip on Romance e A Humble Remonstrance, Stevenson s’inserì prepotentemente in quel dibattito sul romanzo che, nell’ultimo quarto di secolo dell’Ottocento, ha visto contrapporre da un lato i difensori – in particolare Andrew Lang – della narrativa inglese tradizionale, dall’altro le infiltrazioni dei modelli realistici d’oltre Manica. In particolare Flaubert, Zola e quegli scrittori russi, le cui opere si basavano su un profondo scandaglio della psicologia dei personaggi e di racconti improntati ad una cupa visione della società e del destino dell’uomo. In questo senso Andrew Lang, sostenendo la necessità di una narrativa carica d’azione ed ottimismo, fu sostenuto da Stevenson, secondo il quale “il vero pericolo è che nel tentativo di ritrarre la normalità lo scrittore… sia costretto a scrivere il romanzo della società anziché il romanzo dell’uomo” (A Humble Remonstrance). Il dibattito, tuttavia, non riguardava solo il contrasto tra novel e romance, ma vedeva anche su fronti opposti i sostenitori di un realismo didascalico di derivazione britannica e i propugnatori di un realismo svincolato dai condizionamenti sociali. Non a caso, dunque, Henry James (in contrapposizione a Walter Besant, fautore invece dell’impegno sociale del romanzo) riaffermava la funzione mimetica della narrativa, nel senso che dovesse essere perfettamente libera, ma interessante. L’interesse, secondo James, doveva scaturire però dalla struttura interna del romanzo, in ciò trovandosi d’accordo, pur su un diverso fronte, con Stevenson, il quale manifestava in quegli anni un interesse crescente per le questioni tecniche e stilistiche. Non per nulla uno degli aspetti di Treasure Island, maggiormente apprezzati dai critici, era stato appunto la padronanza dello stile, una qualità che si farà sempre più determinante nella narrativa successiva dell’autore. Nell’ambito della saggistica va annoverato anche On Some Technical of Style in Literature, dove Stevenson traccia paralleli e distinzioni fra i ritmi della prosa e i ritmi della poesia, ma soprattutto insiste sull’importanza dei suoni all’interno della frase letteraria accostandola per quest’aspetto alla frase musicale, al punto che gran parte dell’efficacia di un brano di prosa, a suo avviso, deriva dall’uso sapiente degli elementi sonori del linguaggio e dalla capacità dello scrittore di far appello non solo all’occhio, ma anche ad “una specie di orecchio interiore, pronto a cogliere tacite melodie”. Stevenson insiste però anche sul fatto che non vi deve essere nulla d’ostentato in questi virtuosismi, perché lo stile è più perfetto “quando raggiunge il grado più elevato di consapevolezza senza farlo notare”. E Stevenson sembra esserci riuscito, secondo Roberto Mussapi, visto che Kidnapped e Treasure Island sono pervase da suggestioni sonore capaci di generare non solo voci e rumori, ma anche immagini. Stevenson, inoltre, non solo imposta il racconto come una ballata, ma v’introduce brani musicali o anche brevi allusioni a motivi popolari scozzesi.

I temi dell’avventura e del mistero si ritrovano in New Arabian Nights, una serie di racconti, ispirati alle storie di Shehrazad, nei quali Stevenson ricorre alla finzione di un anonimo arabo per introdurre le sue storie ambientate a Londra (quindi non più in spazi dilatati ed esotici, ma nell’area più angusta e familiare della città), ed imperniati sulla figura di un principe di shakespeariana memoria, Florizel di Boemia. Benché non abbia la vera e propria veste del detective, il protagonista assume di tanto in tanto il ruolo di risolutore d’enigmi e di misteri; inoltre possiede quell’aristocratico distacco di fronte all’abiezione della gente che lo circonda, che è proprio di Sherlock Holmes. A differenza di quest’ultimo, in cui Conan Doyle privilegia l’aspetto razionale e positivista, Stevenson avvolge il protagonista di New Arabian Nights in un alone più vago e favoloso, anche se poi alla fine, con un tocco d’ironia, lo priva del suo trono in Boemia e lo mette a vendere sigari in una tipica tabaccheria londinese. L’autore sembra inoltre tutto proteso a realizzare quella “limpida e schietta atmosfera romanzesca”, di cui parla in A Gossip on Romance, e a creare quella suspense in cui tiene avvinto il lettore, sollecitandone la curiosità.

Tale capacità di costruire la suspense, Stevenson non solo la mantenne in una seconda serie di racconti intitolata The Dynamiter, ma anche nei romanzi, specialmente in The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde. È la storia di un uomo, la cui metamorfosi e il cui sdoppiamento di personalità (prima volontario, poi sempre più incontrollabile), avvenuto in seguito ad alcuni esperimenti scientifici (privi di qualsiasi utilità, come li definisce il dr. Canyon) perpetrati sulla sua persona, sottopone il lettore al manifestarsi degli istinti, pulsioni, manie e comportamenti spregiudicati di mister Hyde, contrapposti alla parte razionale, controllata e comunemente accettata del dottor Jekyll. Tale sdoppiamento, presente non solo nel protagonista, si rende manifesto anche negli ambienti in cui i vari personaggi si muovono: un’atmosfera ed un’ambientazione gotica nella quale prevalgono il freddo, la notte, la nebbia, il vento e l’intricato labirinto delle strade londinesi (che evocano la logica del mistero, dell’irreale, dell’assurdo e dell’orrore). Conferendo, inoltre, tratti scimmieschi al protagonista, Stevenson sembra essere voluto entrare nel merito dell’ormai dilagante controversia, che aveva coinvolto sociologi, letterati ed ecclesiastici. Il romanzo è, infatti, una testimonianza sconvolgente non solo dell’impatto delle teorie darwiniane sulla moralità vittoriana, ma anche del clima di sfiducia nella scienza e nell’uomo stesso, che si venne creando in Inghilterra verso la fine del secolo, in concomitanza con una vasta crisi economica, politica e sociale. Nella scena finale del romanzo infatti sembrano riemergere appunto le angosce esistenziali dei vittoriani: il timore dell’instaurarsi di un movimento regressivo all’interno del processo evolutivo e la paura di un prepotente riemergere degl’impulsi irrazionali della civiltà.

Il tema del doppio è predominante anche nel romanzo storico The Master of Ballantrae, una storia cupa, un resoconto dettagliato dei tragici fatti accaduti in un’antica casa nobiliare scozzese all’indomani dell’insurrezione giacobita del 1745. Tuttavia sul mito più antico della disintegrazione della familiare s’innesta quello più moderno della disgregazione della personalità. La rivalità fra i due protagonisti/antagonisti, i fratelli Durrisdeer, fisicamente somiglianti (entrambi i fratelli sono scuri perché gli uomini della famiglia Durrisdeer sono neri), ma caratterialmente differenti (il primogenito affascinante, ma dissoluto e dissipatore, ed il secondogenito, ligio al dovere, morigerato, ma bruttino ed incapace di farsi amare) si configura nel corso della narrativa sempre più come una lotta interiore, un conflitto fra le opposte nature di uno stesso individuo. È dunque l’affinità fisica e la complementarità spirituale a far rientrare i due protagonisti del romanzo nella casistica del doppio. In particolare il fratello maligno opera una lenta, ma costante persecuzione sul fratello buono, per assorbirlo nella sfera della trasgressione morale, facendo emergere in quest’ultimo i lati oscuri, repressi della personalità dell’altro. Il malvagio compie, in altre parole, nei confronti del fratello buono quella che di prim’acchito può sembrare un’azione vendicativa, ma che alla lunga si trasforma in un seguito di molestie fini a sé stesse. Ma visto l’apparente insuccesso di quest’azione, cerca di provocarlo ulteriormente insidiandogli la moglie, e questa volta con successo. Il duello, infatti, oltre a mettere di fronte il personaggio e il suo doppio, fa emergere le potenzialità di violenza insite nel personaggio buono e ne rivela le ambiguità morali. Il personaggio buono, pur essendo in un primo momento sconvolto dell’atto delittuoso, tradisce in un secondo tempo il suo disappunto per non esser riuscito ad eliminare il rivale. Il finale vede un rovesciamento delle parti, nel quale il fratello perseguitato diventerà il persecutore. E date queste premesse il racconto non può che concludersi con la morte simultanea d’entrambi i fratelli e la loro sepoltura in un’unica tomba in mezzo ad un deserto di ghiaccio.

L’altro tema caro a Stevenson è quello dell’avventura attraverso i mari, presente non solo in Treausre Island, ma anche in Kidnapped (il cui punto di riferimento sembra ancora il Robinson Crusoe di Defoe), le cui vicende toccano i temi romanzeschi del viaggio per mare, della lotta sanguinosa e del naufragio.

L’amore per il mare porterà infine l’autore a trascorrere l’ultima parte della sua vita sulle isole del Pacifico, a rivivere almeno in parte quelle avventure che aveva sognato quand’era in Europa, prendendo nota in un diario d’ogni nuova esperienza ed impressione memorabile, che andava facendo nei suoi viaggi. La maggior parte di questa raccolta confluì in quelle lettere dai Mari del Sud (In The South Seas), che aveva promesso a McClure e che furono poi pubblicate a puntate su riviste americane ed inglesi dal 1891, ma anche in altri romanzi, quali The Wrecker o The Beach of Falesà. L’avventura, in ogni caso, non era ormai più concepita a tavolino, ma prendeva forma come esperienza autentica. Per la prima volta, nonostante la sua salute malferma, poteva godere degli spazi aperti e dell’avventura e rivivere fisicamente le esperienze di viaggiatori, come Cook o Darwin. E poteva dar corpo anche alle sue fantasie infantili, impersonando gli eroi dei suoi romanzi preferiti: Robinson, ovviamente, ma anche i ragazzi di Coral Island o della Famiglia Robinson svizzera. Nell’approdare alla prima isola lo scrittore rivive le emozioni dei primi esploratori, ma anche di Jim Hawkins, al suo arrivo nell’Isola del Tesoro. Diversamente dal suo personaggio, però, Stevenson non proverà delusioni e rimarrà in questo mondo per il resto della vita, rifiutando esplicitamente il ritorno in patria.

I capitoli di In The South Seas sono pregni delle emozioni provate a contatto con i paesaggi e le figure di un mondo in larga parte ancora primitivo e genuino; lunghe pagine sono poi dedicate anche agli abitanti delle isole, soprattutto agli indigeni, i quali perlopiù vengono connotati positivamente quali eredi della nobiltà dell’uomo non contaminato dalla civiltà, ma che talvolta possono assumere tratti ambigui ed inquietanti. Sono rari, tuttavia, i momenti in cui lo scrittore tradisce, nei confronti di quella gente e di quei luoghi un moto di repulsione, da lui stesso giudicato indegno di un viaggiatore, ma piuttosto una certa curiosità e simpatia. In tal senso si ricollega ad Emigrante per diletto, di cui riprende anche la romantica attenzione per gli umili e i diseredati.

Convinto difensore sempre e comunque delle popolazioni polinesiane, non manca di criticare le autorità coloniali, a suo dire causa dei violenti sconvolgimenti operati nel tessuto sociale, denunciando il fatto che, tramite una dura repressione morale, agli abitanti delle Marchesi è stata tolta la gioia di vivere. Ed esprime l’opinione che questa, ancor più del diffondersi delle infezioni e dell’oppio, sia la causa principale della progressiva estinzione di questa razza polinesiana. L’unico caso in cui lo scrittore sembra giudicare utile l’intervento dei bianchi nelle comunità indigene è quello concernente Padre Damien, fondatore del lebbrosario di Molokai, il quale aveva contratto la malattia, vivendo a stretto contatto con questi malati.

Dunque l’impressione che si ricava dalla lettura del romanzo è che l’autore, piuttosto che trasmettere al lettore un qualche senso della seduzione di quel mondo, sia preoccupato a dare una mano ad arginare il disfacimento di una cultura.

 

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Tratto da: Robert Louis Stevenson. Wikipedia, L'enciclopedia libera.