Sant'Agostino

Aurelio Agostino d'Ippona, traduzione italiana del latino (Aurelius) Augustinus Hipponensis (Tagaste, Numidia, 13 novembre 354 - Ippona, Numidia, 28 agosto 430) fu filosofo, vescovo e teologo; Padre, Dottore e Santo della Chiesa Cattolica, è conosciuto semplicemente come Sant'Agostino, ed è detto anche Doctor Gratiae (Dottore della Grazia). Il nome "Aurelio" gli fu dato, per errore, nel Medioevo. La sua opera più celebre sono le Confessiones (Confessioni). A lui si rifà l'Ordine dei Canonici Regolari di Sant'Agostino, chiamato degli Agostiniani. Alcune Chiese scismatiche africane, fenomeni a metà tra le cosidette "Piccole Chiese ed il sincretismo (in particolare quelle fornite di Successione apostolica ), sorte nel corso del XIX e del XX Secolo, si sono auto-definite "Agostiniste", in considerazione della origine africana del Santo.

La vita di Sant'Agostino ci è stata tramandata in documenti di incomparabile ricchezza; di nessun grande personaggio dei tempi antichi esistono informazioni comparabili a quelle contenute nelle "Confessioni", che riferiscono la commovente storia della sua anima, nelle "Ritrattazioni", che forniscono la storia della sua mente e nella "Vita di Agostino", scritta dal suo amico Possidio, che narra l'apostolato del santo.

Agostino, di etnia berbera, ma di cultura totalmente ellenistico-romana, nacque a Tagaste il 13 novembre 354. Tagaste, attualmente Souk-Ahras in Algeria, posta a circa 60 miglia da Ippona, era, a quei tempi, una piccola città libera della Numidia proconsolare recentemente convertita dal Donatismo. Anche se molto rispettabile, la sua famiglia non era ricca, e suo padre, Patrizio, uno dei curiales (consiglieri municipali) della città, era un pagano. Comunque, le virtù che resero Monica l'ideale delle madri cristiane, alla lunga portarono il marito al battesimo e ad una morte nella Grazia divina (371).

Agostino recepì dai suoi genitori due opposte visioni del mondo, da lui spesso vissute in conflitto tra loro. Sarà, tuttavia, la madre, venerata come santa dalla Chiesa cattolica, ad esercitare un grande ruolo nell'educazione e nella vita del figlio. Agostino ricevette, quindi, un'istruzione cristiana e fu iscritto fra i catecumeni. Una volta, quando era molto malato, chiese il battesimo, ma, essendo presto svanito ogni pericolo, decise di differire il momento della ricezione del sacramento, adeguandosi, così, ad una diffusa usanza di quel periodo. La sua associazione con "uomini di preghiera" lasciò tre grandi concetti profondamente incisi nella sua anima: l'esistenza di una Divina Provvidenza, l'esistenza di una vita futura con terribili punizioni e, soprattutto, Cristo il Salvatore.

Africano di nascita e, quindi, probabilmente, di madrelingua berbera, apprese e utilizzò il punico ed il latino, mentre ebbe difficoltà con il greco, l'altra grande lingua, insieme al latino, della cultura dell'epoca. Patrizio, orgoglioso del successo di suo figlio nelle scuole di Tagaste e Madaura decise di mandarlo a Cartagine per prepararlo alla carriera forense. Ma, sfortunatamente, ci vollero molti mesi a raccogliere il denaro necessario, ed Agostino dovette passare il suo sedicesimo anno a Tagaste, in un ozio che fu fatale per la sua virtù e che scatenò una grande crisi intellettuale e morale. Egli stesso avrebbe in seguito narrato come, dominato da una profonda inquietudine, venisse risucchiato in un vortice di passioni, e provasse quasi attrazione per il peccato, come avvenne ad esempio nel celebre furto delle pere:

« Ma io, sciagurato, cosa amai in te, o furto mio, o delitto notturno dei miei sedici anni? Non eri bello se eri un furto; anzi, sei qualcosa per cui possa rivolgerti la parola? Belli erano i frutti che rubammo... ma non quelli bramò la mia anima miserabile, poiché ne avevo in abbondanza di migliori. Eppure colsi proprio quelli al solo scopo di commettere un furto. »
(Confessioni, II, 6, 12)

All'inizio della crisi pregava, ma senza il sincero desiderio di essere ascoltato e, quando giunse a Cartagine, verso la fine del 370, ogni cosa che gli capitava lo portava a deviare sempre di più dall'antico corso della sua vita: le molte seduzioni della grande città che era ancora per metà pagana, la licenziosità degli altri studenti, i teatri, l'ebbrezza del suo successo letterario ed uno smisurato desiderio di essere sempre il primo, anche nel peccato. In questa città, appassionandosi di filosofia, iniziò a studiare la maggior parte dei testi principali della cultura ellenistico-latina. Dotato di un forte senso critico e animato da un desiderio bramoso di verità, passò gli anni della sua gioventù nella ricerca insaziabile del senso della vita. Non molto tempo dopo essere giunto a Cartagine, però, Agostino fu costretto a confessare a Monica che aveva una relazione con una donna che gli aveva dato un figlio (372), Adeodato. Il santo visse con lei, in concubinato per quindici anni. Si separarono nel 386, quando ella lo lasciò a Milano per recarsi in Numidia con la promessa che sarebbe tornata.

Nella valutazione di questa crisi devono essere evitati i due estremi. Alcuni, come Theodor Mommsen, forse fuorviati dal tono di dolore delle "Confessioni", la esagerarono. Altri come Loofs (Realencyklopädie III edizione, II, 268) rimproveravano a Mommsen questa conclusione o erano troppo clementi verso Agostino, quando affermavano che, a quei tempi, la Chiesa permetteva il concubinato. Le "Confessioni" provano da sole che Loofs non aveva ben compreso il 17° canone di Toledo. Comunque, può essere detto che, anche nella sua caduta, Agostino mantenne una certa dignità e che, fin dall'età di diciannove anni, ebbe un genuino desiderio di infrangere le catene: nel 373, la lettura dell'Hortensius di Marco Tullio Cicerone provocò un cambiamento di direzione della sua vita. Si imbevve dell'amore per la saggezza che Cicerone così eloquentemente encomiava e, da quel momento, Agostino considerò la retorica soltanto una professione, che esercitava in qualità di professore. Il suo cuore si era completamente volto alla filosofia.

In quello stesso anno, 373, la sua ansia per la ricerca dell'assoluto lo fece approdare al Manicheismo, di cui, insieme al suo amico Onorato, divenne uno dei massimi esponenti e divulgatori. Sembra strano che una così grande mente potesse dar credito alle idee sviluppate dal persiano Mani (215-276) ed approdate in Africa appena 50 anni prima. Agostino stesso narra che fu adescato dalle promesse di una filosofia libera dai vicoli della fede; dalle vanterie dei manichei che affermavano di aver scoperto delle contraddizioni nelle Sacre Scritture; e, soprattutto, dalla speranza di trovare nella loro dottrina una spiegazione scientifica della natura e dei suoi fenomeni più misteriosi. La mente indagatrice di Agostino era entusiasta per le scienze naturali ed i Manichei dichiaravano che la natura non aveva segreti per Fausto di Milevi, il loro dottore. Tuttavia, tale adesione non fu scevra da dubbi che lo attanagliavano: essendo torturato dal problema dell'origine del male, Agostino, nell'attesa di risolverlo, diede credito all'esistenza di un conflitto tra due principi. C'era, inoltre, un fascino molto potente nell'irresponsabilità morale che risultava da una dottrina che negava la libertà ed attribuiva la commissione di crimini ad un principio esterno. Una volta unitosi a questa setta, Agostino gli si dedicò con tutto l'ardore del suo carattere; ne lesse tutti i libri, adottò e difese tutte le sue idee. Il suo attivissimo proselitismo fece cadere nell'eresia anche i suoi amici Alipio e Romaniano, i suoi mecenati di Tagaste, gli amici di suo padre che stavano sostenendo le spese degli studi di Agostino. Fu durante questo periodo manicheo che le facoltà letterarie di Agostino giunsero al loro pieno sviluppo, quando era ancora un semplice studente di Cartagine.

Al termine dei suoi studi sarebbe dovuto entrare nel forum litigiosum, ma preferì la carriera letteraria. Possidio narra che tornò a Tagaste per "insegnare la grammatica". Il giovane professore incantò i suoi alunni, uno dei quali, Alipio appena più giovane del suo maestro, per non lasciarlo dopo averlo seguito nell'eresia, fu in seguito battezzato insieme a lui a Milano, per poi, probabilmente, diventare vescovo di Tagaste, la sua città natale. Ma Monica era profondamente dispiaciuta per l'eresia di Agostino e non l'avrebbe neanche ricevuto in casa o fatto sedere alla sua tavola, se non fosse stata consigliata da un vescovo che dichiarò che "il figlio di così tante lacrime e preghiere non poteva perire". Poco tempo dopo Agostino tornò a Cartagine, dove continuò ad insegnare retorica. I suoi talenti gli furono anche di maggiore vantaggio su questo palcoscenico più grande e, attraverso una infaticabile ricerca delle arti liberali il suo intelletto raggiunse la piena maturità. Qui vinse un torneo di poesia ed il Proconsole Vindiciano gli conferì pubblicamente la corona agonistica.

Fu in questo momento di ebbrezza letteraria, quando aveva appena completato il suo primo lavoro sull'estetica (ora perso) che Agostino cominciò a ripudiare il manicheismo. Anche quando era nel suo massimo entusiasmo, tuttavia, gli insegnamenti di Mani erano stati lontani dal calmare la sua inquietudine. Nonostante fosse stato accusato di essere diventato un prete della setta, non fu mai iniziato o enumerato fra gli "eletti", ma rimase un "uditore", il grado più basso nella gerarchia. Egli stesso fornì le ragioni del suo disincanto: prima di tutto l'inclinazione della filosofia manichea - "Distruggono tutto e non costruiscono nulla" -; poi la loro immoralità in contrasto con la loro apparente virtù; quindi la debolezza delle loro argomentazioni nella controversia con i cattolici, ai cui precetti basati sulle Scritture la loro unica replica era: "Le Sacre Scritture sono state falsificate." Ma la cosa peggiore è che tra loro non trovò la scienza (scienza intesa nel senso moderno della parola), quella conoscenza della natura e delle sue leggi che gli avevano promesso. Quando li interrogava sui movimenti delle stelle, nessuno di loro era in grado di rispondergli. "Attendi Fausto", gli dicevano, "lui ti spiegherà tutto". Finalmente, nel 383, Fausto di Mileve, il celebre vescovo manicheo, giunse a Cartagine. Agostino gli fece visita e lo interrogò, ma scoprì nelle sue risposte solo volgare retorica, assolutamente estranea a qualsiasi cultura scientifica. L'incantesimo si ruppe e, anche se Agostino non abbandonò immediatamente la setta, la sua mente iniziò a rifiutare le dottrine manichee. L'illusione era durata nove anni.

Ma la crisi religiosa di questa grande anima si sarebbe risolta solamente in Italia grazie all'influenza di Ambrogio. Nel 383 stesso, Agostino, all'età di 29 anni, cedette all'irresistibile attrazione che l'Italia aveva per lui, ma a causa della riluttanza della madre a separarsi da lui, dovette ricorrere ad un sotterfugio ed imbarcarsi con la copertura della notte. Non appena giunto a Roma, dove continuò a frequentare la comunità manichea, si ammalò gravemente. Quando guarì aprì una scuola di retorica ma, disgustato dai trucchi dei suoi alunni, che lo defraudavano spudoratamente delle loro tasse di istruzione, fece domanda per un posto vacante come professore a Milano. Il Praefectus urbi Simmaco lo aiutò ad ottenere il posto con l'intento di contrastare la fama del vescovo Ambrogio. Tuttavia, dopo aver fatto visita al vescovo Ambrogio, il fascino della gentilezza di quel santo lo portò a seguire regolarmente le sue predicazioni.

Tuttavia, prima di abbracciare la Fede, Agostino fu travagliato da ulteriori tre anni di dubbi, durante i quali la sua mente passò attraverso molte fasi. In un primo tempo si volse verso la filosofia degli Accademici, col suo scetticismo pessimistico, poi fu entusiasmato dalla filosofia neo-platonica. Aveva a mala pena letto le opere di Platone e di Plotino, quando gli si accendeva nuovamente la speranza di trovare la verità. Ancora una volta cominciò a sognare che lui ed i suoi amici potessero condurre una vita dedicata alla sua ricerca, una vita priva di tutte le aspirazioni volgari come onori, ricchezza, o piacere, e con il celibato come regola (Confessioni, VI). Ma era solo un sogno; le sue passioni lo rendevano ancora schiavo.

Monica che aveva raggiunto suo figlio a Milano lo convinse a fidanzarsi, ma la sua promessa sposa era troppo giovane, ed anche se Agostino salutò la madre di Adeodato, il suo posto fu presto preso da un'altra. Così dovette attraversare un ultimo periodo di lotta e di angoscia. Finalmente, attraverso la lettura delle Sacre Scritture, la luce penetrò nella sua mente. Presto ebbe la certezza che Gesù Cristo è l'unico mezzo per giungere alla verità ed alla salvezza. Un colloquio con Simpliciano, futuro successore di Sant'Ambrogio, che raccontò ad Agostino la storia della conversione del celebre retore neo-platonico Vittorino (Confessioni, VIII, I II), preparò la strada per il grande colpo di grazia che, all'età di 33 anni, lo fece capitolare in un giardino di Milano, dove sentì la voce di una bimba che canterellava "tolle lege", ossia prendi e leggi, invito che egli riferì alla Bibbia, che, a quel punto, aprì a caso, cadendo su un passaggio di San Paolo (settembre 386). Alcuni giorni più tardi, Agostino, mentre era malato, sfruttando le vacanze autunnali si dimise dal suo lavoro di insegnante, andò con Monica, Adeodato, ed i suoi amici a Cassisiacum, residenza di campagna di Verecondo. Lì si dedicò alla ricerca della vera filosofia che, per lui, ormai era inseparabile dal Cristianesimo.

Agostino, gradualmente, conobbe la dottrina cristiana e, nella sua mente, iniziarono a fondersi la filosofia platonica ed i dogmi rivelati. La solitudine di Cassisiacum gli permise di realizzare un sogno a lungo inseguito: nei suoi libri Contra academicos, Agostino descrisse la serenità ideale di questa esistenza, animata solamente dalla passione per la verità. Inoltre completò l'istruzione dei suoi giovani amici, ora con letture in comune, ora con conferenze filosofiche alle quali, qualche volta, invitava anche Monica, ed i cui racconti, trascritti da un segretario, furono la base dei "Dialoghi". Licenzio, nelle sue "Lettere", avrebbe, in seguito, ricordato le mattine e sere di filosofia durante le quali, Agostino, era solito intraprendere disquisizioni che si elevavano molto al di sopra dei luoghi comuni. I temi favoriti di queste conferenze erano la verità, la certezza (Contra academicos), la vera felicità nella filosofia (De beata vita), l'ordine Provvidenziale del mondo, il problema del male (De ordine) ed infine Dio e l'anima (Soliloquia, De immortalitate animae).

Verso l'inizio della Quaresima del 387, Agostino si recò a Milano dove, con Adeodato ed Alipio, prese posto fra i competentes per essere battezzato da Ambrogio il giorno di Pasqua. La tradizione che vuole che in quell'occasione fu cantato il Te Deum alternativamente dal vescovo e dal neofita è infondata. Ciononostante, questa leggenda è certamente espressiva della gioia della Chiesa nel ricevere come suo figlio colui che doveva esserne il dottore più illustre. Fu a questo punto che Agostino, Alipio, ed Evodio decisero di ritirarsi nella solitudine dell'Africa. Agostino rimase a Milano fino all'autunno, continuando i suoi lavori: De immortalitate animae e De musica. Poi, mentre era in procinto di imbarcarsi ad Ostia, Monica rese l'anima a Dio. Agostino, allora, rimase per molti mesi a Roma occupandosi principalmente della confutazione del manicheismo. Tornò in Africa solo dopo la morte del tiranno Magno Massimo (agosto 388) e, dopo un breve soggiorno a Cartagine, ritornò a Tagaste. Subito dopo il suo arrivo, decise di iniziare a seguire il suo ideale di vita perfetta. Cominciò vendendo tutti i suoi beni e dando gli incassi ai poveri. Poi lui ed i suoi amici si ritirarono nel suo appezzamento di terreno, che già era stato alienato, per condurre una vita comune in povertà, in preghiera, e nello studio della letteratura sacra. Il libro De diversis quaestionibus octoginta tribus è il frutto delle riunioni tenute durante questo ritiro, nel quale scrisse anche il De Genesi contra Manichæos", il "De Magistro" ed il "De Vera Religione."

Agostino non pensava di diventare sacerdote e, per paura dell'episcopato, scappava anche dalle città nelle quali era necessaria un'elezione. Un giorno, essendo stato chiamato ad Ippona da un amico la cui la salvezza dell'anima era in pericolo, stava pregando in una chiesa quando un gruppo di persone improvvisamente lo circondarono, lo consolarono ed implorarono Valerio, il vescovo, di elevarlo al sacerdozio. Nonostante i suoi timori, Agostino fu ordinato nel 391. Il novello sacerdote considerò la sua ordinazione come una ragione in più per riprendere la vita religiosa a Tagaste e Valerio approvò così entusiasticamente che gli mise a disposizione delle proprietà della chiesa, autorizzandolo a fondare un monastero. Il suo ministero sacerdotale durato cinque anni fu incredibilmente fruttifero: Valerio lo autorizzò a predicare nonostante l'uso africano che riservava quel ministero ai soli vescovi; combatté l'eresia, specialmente quella manichea ed il suo successo fu prodigioso. Fortunato, uno dei loro grandi dottori, che Agostino aveva sfidato in pubblico, fu così umiliato dalla sconfitta che fuggì da Ippona. Egli abolì anche l'uso di tenere banchetti nelle cappelle dei martiri. L'8 ottobre 393, prese parte al Concilio Plenario d'Africa presieduto da Aurelio, vescovo di Cartagine, dove, dietro richiesta dei vescovi, fu obbligato a comporre una dissertazione che, nella sua forma completa, in seguito, divenne il trattato De fide et symbolo.

Indebolito dall'età ormai avanzata, Valerio, vescovo di Ippona, ottenne da Aurelio, Primate d'Africa, che Agostino fosse associato alla sua sede in qualità di coadiutore. Pertanto, Agostino si dovette rassegnare alla consacrazione dalle mani di Megalio, Primate di Numidia. Aveva 42 anni, ed avrebbe occupato la sede di Ippona per i successivi 34. Il nuovo vescovo comprese bene come combinare l'esercizio dei suoi doveri pastorali con l'austerità della vita religiosa e, sebbene avesse lasciato il suo monastero, la sua residenza episcopale divenne un monastero dove visse una vita di comunità con il suo clero, che osservava una religiosa povertà. La casa episcopale di Ippona divenne un vero vivaio per i nuovi fondatori di monasteri che presto si diffusero in tutta l'Africa e per i vescovi che occupavano le sedi vicine. Possidio (Vita Sancti Augustini, XXII) elencò dieci amici e discepoli del santo che furono elevati all'episcopato. In questo modo Agostino si guadagnò il titolo di patriarca dei religiosi e rinnovatore della vita ecclesiastica in Africa.

Ma fu soprattutto un difensore della verità ed un pastore di anime. Le sue attività dottrinali, l'influenza delle quali era destinata a durare quanto la Chiesa stessa, furono molteplici: predicava frequentemente, a volte per cinque giorni consecutivi, i suoi sermoni che trasudavano uno spirito di carità che vinceva tutti i cuori; scrisse lettere che trasmisero a tutto il mondo conosciuto la sua soluzione per i problemi dell'epoca; lasciò la sua impronta su tutti i concili africani ai quali partecipò, per esempio quelli di Cartagine del 398, 401, 407, 419 e di Mileve del 416 e 418; infine, lottò infaticabilmente contro tutte le eresie. Riferire di tutte queste lotte sarebbe un lavoro senza fine, pertanto, è opportuno dar conto solamente delle controversie principali:

la controversia manichea ed il Problema del Male;
la controversia donatista e la Teoria della Chiesa;
la controversia pelagiana ed il Dottore della Grazia;
la controversia ariana e gli ultimi anni.

Dopo che Agostino divenne vescovo, lo zelo che, fin dai tempi del suo battesimo, manifestava nel portare i suoi ex correligionari all'interno della vera Chiesa, assunse una forma più paterna senza però perdere il suo antico ardore. Fra gli eventi più memorabili che avvennero durante questa controversia è da ricordare la grande vittoria del 404 su Felice, un "eletto" manicheo e grande dottore della setta. Questi stava predicando la sua eresia ad Ippona, ed Agostino lo invitò ad una disputa pubblica, al termine della quale Felice si dichiarò vinto, abbracciò la Fede e, insieme ad Agostino, sottoscrisse gli atti della disputa. Nelle sue opere Agostino confutò successivamente: Mani (397), Fausto di Mileve (400), Secondino (405) e (intorno al 415) i Priscillianisti, di cui gli aveva parlato Paolo Orosio. Queste opere contengono le opinioni del santo sul problema del male, opinioni basate sull'ottimismo derivante dall'idea che ogni opera di Dio è buona e che l'unica fonte del male è la libertà delle creature (De Civitate Dei, XIX, c. XIII, n. 2). Agostino difese il libero arbitrio, anche nell'uomo, con tale ardore che i suoi lavori contro i Manichei sono una inesauribile fonte di argomentazioni per questo problema, che è ancora attuale.

Lo scisma donatista fu l'ultimo episodio delle controversie montaniste e novazianiste che agitavano la Chiesa dal II secolo. Mentre l'oriente stava investigando sotto vari aspetti il problema Divino e Cristologico della Parola, l'occidente, indubbiamente a causa della sua vocazione più pratica, si poneva il problema morale del peccato in tutte le sue forme. Il problema principale era la santità della Chiesa; il peccatore avrebbe potuto essere perdonato e rimanere al suo interno? In Africa la questione riguardava in particolar modo la santità della gerarchia. I vescovi di Numidia che, nel 312, avevano rifiutato di accettare come valida la consacrazione di Ceciliano alla sede di Cartagine da parte di un traditore, avevano dato il via ad uno scisma che aveva posto queste gravi questioni:

I poteri gerarchici dipendono dalla dignità morale del presbitero?
Come può l'indegnità dei suoi ministri essere compatibile con la santità della Chiesa?

Essendo stato identificato con un movimento politico, forse con un movimento nazionale contro la dominazione romana, al tempo dell'arrivo di Agostino ad Ippona, lo scisma aveva raggiunto proporzioni immense. Comunque, al suo interno è facile scoprire una tendenza di vendetta antisociale che gli imperatori dovevano combattere con leggi severe. La setta nota come "Soldati di Cristo", e chiamata dai cattolici Circumcelliones (briganti, vagabondi), associata agli scismatici, in quanto a fanatica distruttività non aveva nulla da invidiare alle sette che sarebbero sorte nel Medioevo, fatto che non deve essere perso di vista se la severa legislazione degli imperatori deve essere propriamente valutata.

La storia delle lotte di Agostino con i Donatisti è anche quella del suo cambio di opinione sull'utilizzo di misure rigide contro gli eretici. Anche la Chiesa d'Africa, dei cui concili era stato l'anima, lo seguì in questo cambio. Agostino, inizialmente, tentò di ritrovare l'unità attraverso conferenze e controversie amichevoli. Nei concili africani ispirò varie misure conciliatrici, spedì ambasciatori presso i Donatisti per invitarli a rientrare nella Chiesa o, almeno, esortarli ad inviare deputati ad una conferenza (403). I donatisti accolsero questi inviti dapprima col silenzio, poi con insulti ed infine con tale violenza che: Possidio, vescovo di Calamet, l'amico di Agostino sfuggì alla morte per puro caso; il vescovo di Bagaïa fu lasciato ricoperto di orribili ferite; la vita del vescovo di Ippona subì vari attentati (Epistola LXXXVIII, a Gennaro vescovo donatista). Questa violenza dei Circumcelliones richiese una dura repressione ed Agostino, apprendendo delle molte conversioni che ne seguirono, da allora approvò l'impiego di leggi rigide. In ogni caso, il santo non volle mai che l'eresia fosse punibile con la morte: Vos rogamus ne occidatis (Epistola c, al Proconsole Donato). Nonostante ciò, i vescovi erano ancora favorevoli ad una conferenza con gli scismatici e, nel 410, un editto promulgato da Flavio Onorio pose fine al rifiuto dei donatisti. Nel giugno 411, alla presenza di 286 vescovi cattolici e 279 vescovi donatisti, fu organizzata a Cartagine una solenne conferenza. I portavoce dei donatisti erano Petiliano di Costantina, Primiano di Cartagine ed Emerito di Cesarea; gli oratori cattolici, Aurelio di Cartagine ed Agostino d'Ippona. Alla questione storica in discussione, il vescovo di Ippona provò l'innocenza di Ceciliano e del suo consacratore Felice, sostenendo, nel dibattito dogmatico, la tesi cattolica che la Chiesa, finché esiste sulla terra, può, senza perdere la sua santità, tollerare i peccatori al suo interno nell'interesse della loro conversione. A nome dell'imperatore il Proconsole Marcellino sanzionò la vittoria dei cattolici su tutti i punti in discussione.

La fine della controversia donatista coincise pressappoco con l'inizio di una nuova disputa teologica molto più importante che, non solo catturò l'incessante attenzione di Agostino fino alla sua morte, ma doveva diventare un problema eterno per gli individui e per la Chiesa. L'Africa, dove Pelagio ed il suo discepolo Celestio si erano rifugiati dopo la presa di Roma da parte di Alarico, era diventato il principale centro di diffusione del movimento pelagiano; già nel 412, un concilio tenuto a Cartagine aveva condannato i pelagiani per le loro opinioni sulla dottrina del peccato originale. Grazie all'attivismo di Agostino, la condanna di questi innovatori, che erano riusciti ad ingannare persino un sinodo tenuto a Diospolis, in Palestina, fu reiterata dai successivi concili tenuti a Cartagine ed a Mileve e confermata da Papa Innocenzo I (417). Un secondo periodo di attivismo pelagiano si sviluppò a Roma, ma Papa Zosimo, che, in un primo momento, era stato ingannato dagli stratagemmi di Celestio, dopo essere stato illuminato da Agostino, nel 418, pronunciò una solenne condanna contro questi eretici. Da allora, la disputa venne proseguita per iscritto contro Giuliano di Eclano che aveva assunto la leadership del partito ed attaccava violentemente Agostino.

Verso il 426 nacque il movimento dei semipelagiani, i cui primi membri furono i monaci di Hadrumetum, in Africa, seguiti da quelli di Marsiglia guidati da Giovanni Cassiano, il celebre abate di San Vittore. Essi cercarono di mediare tra Agostino e Pelagio sostenendo che la grazia dovesse essere concessa solo a coloro che la meritano e negata agli altri. Informato delle loro opinioni da Prospero d'Aquitania, il santo scrisse il De Prædestinatione Sanctorum, nel quale spiegava che qualsiasi desiderio di salvezza era dovuto alla Grazia di Dio che, perciò, controllava completamente la nostra predestinazione.

Nel 426, il vescovo di Ippona, all'età di 72 anni, desiderando risparmiare alla sua città il tumulto di un'elezione episcopale dopo la sua morte, spinse sia il clero che il popolo ad acclamare, come suo ausiliare e successore il diacono Eraclio. È probabile che Agostino avrebbe goduto di un po' di pace se l'Africa non fosse stata sconvolta dalla rivolta del comes Bonifacio (427). I goti, inviati dall'imperatrice Galla Placidia per contrastare Bonifacio ed i Vandali che aveva chiamato in suo aiuto, erano tutti ariani. Al seguito delle truppe imperiali, entrò ad Ippona Massimino, un vescovo ariano. Il santo, allora, dovette difendere la Fede in una conferenza pubblica (428) e con vari scritti. Essendo profondamente addolorato per la devastazione dell'Africa, lavorò per una riconciliazione tra il comes Bonifacio e l'imperatrice. La pace fu ristabilita, ma non con Genserico, il re vandalo. Bonifacio, battuto, cercò rifugio ad Ippona, dove molti vescovi si erano già rifugiati per cercare protezione in questa città ben fortificata che avrebbe sofferto gli orrori di un assedio lungo ben 18 mesi. Cercando di controllare la sua angoscia, Agostino continuò a confutare Giuliano di Eclano, ma, all'inizio dell'assedio, fu colpito da quella che capì essere una malattia fatale e, dopo tre mesi di ammirabile pazienza e fervente preghiera, morì. Era il 28 agosto 430 ed aveva 76 anni.

Il suo corpo fu trasferito nell'attuale Cattedrale di Vigevano dove venne eretta una tomba in suo onore. Attualmente, le sue spoglie sono custodite nella Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro, presso Pavia.

 

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Tratto da: Sant'Agostino. Wikipedia, L'enciclopedia libera.