Claudia

 

Era il pomeriggio del 24 Dicembre 1959, da allora sono passati quarantacinque anni, una buona parte della vita di un uomo. Quel pomeriggio il telefono, del corpo di guardia al Quirinale, trillò in un modo strano. La vibrazione del telefono che squillava sembrava preannunciare qualcosa di grave.

La voce al telefono chiese del tenente, o meglio dell’ufficiale di picchetto, e si limitò a dire con un tono grave: “C’è un problema, sua moglie ha una crisi eclampica, deve scegliere lei fra diventare padre o rimanere un uomo sposato”. La risposta si fece attendere pochi istanti: “Salvate la madre!”.

E’ la stessa identica scelta che avrei fatto io. Quel giorno a Roma pioveva, e nella clinica appena inaugurata, il primo bambino che vi sarebbe nato era stato condannato a morte, da un uomo che aveva dovuto scegliere fra un amore ed un altro, senza poter decidere di averli entrambi.

L’eclampsia è una forma d’epilessia che si può manifestare nel periodo del puerperio, generalmente al terzo mese, la prognosi è grave sia per la madre sia soprattutto per il feto. Così, pensando non al primo nascituro ma, al primo cadavere della clinica appena inaugurata, un uomo in camice bianco decise di tirami fuori dal ventre di mia madre.

In compenso, senza sapere cosa mi aspettava, io decisi che sarei vissuto, e così nonostante tutto, dopo pochi istanti, cominciai a piangere affermando il mio pieno diritto ad essere iscritto nel registro dell’anagrafe. Forse fu un errore, ma all’epoca non lo sapevo. Dovessi tornare indietro probabilmente piangerei nuovamente come feci quella vigilia di Natale di tanti anni or sono.

Il telefono del corpo di guardia al Quirinale squillò nuovamente, questa volta in modo diverso, ma l’uomo che rispose non se ne accorse, non poteva accorgersene, alla richiesta di poter parlare con l’ufficiale di guardia la risposta fu immediata: “Sono io!”. Non so perché non aggiunse “Signore!”, ma so che non lo fece. Una voce femminile dall’altra parte del filo disse: “Lei è padre”. La gioia di tale annuncio, fu interrotta da un tuono che sembrava voler irrompere nei pensieri di quel tenente, per riportarlo alla realtà, solo in quel momento la voce al telefono disse: “La madre sta bene, ed il bimbo ha deciso di festeggiare il Natale con noi”. Poi la comunicazione s’interruppe.

Il mio primo pianto fu l’affermazione che volevo esserci, una dichiarazione che non ero disposto ad arrendermi, i pianti successivi, le lacrime che mi uscivano nel raccontare a Claudia com’ero nato, era la dichiarazione che ero stanco. Stanco di lottare. Ora avevo la necessità di arrendermi. Sentivo la necessità di dire “non ci riesco, non più”. Gli anni passati a lottare, avevano lasciato il segno, ora avevo bisogno di riposare.

Molti pensano che il mio nome voglia dire nato Re, e lo attribuiscono al fatto che io sia nato la vigilia di Natale, in verità lo porto perché il mio nonno paterno lo portava prima di me, ma il significato vero di quel nome è “nato due volte”. Forse è vero sono nato due volte, la prima, quando sono stato concepito e la seconda quando decisi di piangere quella vigilia di Natale, ma temo che ciò non mi dia il diritto di morire due volte.

Alla mia affermazione Claudia non riuscì a non sorridere, mi strinse la mano che teneva fra le sue da quando avevo cominciato a raccontare la mia storia, rispondendo alla sua richiesta: “Parlami di te”.

In quel momento un tuono s’insinuò fra noi riportando nella mia mente l’immagine di quell’uomo che, ventiquattro ore dopo il giorno di Natale, scoprii essere mio padre.