iIl dialogo

 

Rimanemmo all’interno della chiesa per non più di dieci minuti, il tempo strettamente necessario per essere certo di non aver tralasciato nulla. Quando ritenni di aver fotografato ogni singolo particolare dell’Abbazia, decisi di uscire.

Questa volta passammo dal negozio di souvenir. Oltre a vari oggetti di dubbio gusto, come alcune icone in stile russo, ciondoli e orpelli vari, il negozio era piuttosto fornito di libri.

Approfittai dell’occasione per acquistare due flaconcini di estratto di lavanda. Un’essenza che mi riportava indietro nel tempo, ad un viaggio che ormai sembrava essere sepolto sotto le macerie del mio rapporto con Claudia. Nonostante tutto, di quel viaggio in Provenza, serbavo un meraviglioso ricordo.

Tornati all’automobile iniziammo il viaggio di ritorno. Chiesi a Daniela di cambiare cd. Inatteso squillò il telefono, vidi comparire il viso di Claudia, una foto che le avevo scattato durante la nostra prima vacanza. Esitai un poco ma risposi: “Ciao Claudia, come stai?”. Seguì un attimo di silenzio, in fondo per la prima volta negli ultimi anni non avevo risposto con il classico “Ciao, amore”, Claudia doveva averlo notato. “Io bene, dove sei?”. Le risposi che mi trovavo in Francia. “Quando torni devo parlarti, ma ti chiamo io. Preferirei che tu non chiamassi. Ciao”.

Senza darmi il tempo di controbattere chiuse la comunicazione.

Rimasi in silenzio, sentendomi addosso lo sguardo interrogativo di Daniela: “Qualche problema, Renato?”. Non sapevo cosa risponderle. Non si trattava di problemi, o almeno non di nuovi. Una cosa era certa, sentire la voce di Claudia mi aveva ancora una volta fatto ricadere in uno stato emotivo difficile da spiegare. “ No, Dani”. Feci una pausa per prendere fiato: “Una storia che sta finendo, o forse una storia che non è mai iniziata. Ma ancora mi fa soffrire. Passerà”.

Daniela posò il cd che aveva preso alla mia richiesta di cambiare musica: “Vuoi parlarne?”. No, non volevo. Eppure dovevo farlo, ma non in quel momento. Non mentre guidavo lungo i tornanti che ci avrebbero riportato in Italia.

Come se avesse letto nei miei pensieri, Daniela disse: “Quando te la sentirai ne potrai parlare, io ti ascolterò se vorrai”. Poi aggiunse: “Prima, mentre pranzavamo, volevo chiederti se avevi voglia di cenare insieme questa sera. Non ho mai creduto nei colpi di fulmine… è solo che mi piace averti vicino”.

Daniela riuscì a malapena a terminare la sua frase, quando mi ritrovai davanti una paletta rossa agitata da un uomo vestito di nero. Avevamo da poco passato il confine di stato rientrando nel territorio italiano, e l’uomo vestito di nero era ovviamente un carabiniere nell’adempimento delle sue funzioni.

Accostai la macchina e con solerzia abbassai il finestrino. “Buonasera, patente e libretto per favore!”.

Presi dal cassetto posto di fronte a Daniela il libretto di circolazione e dal portafogli la patente di guida. Con un sorriso consegnai il tutto all’uomo dell’Arma dicendo semplicemente: “Prego”.

L’appuntato, riconoscibile dai gradi posti sulla manica della giacca, si allontanò di pochi metri per registrare e verificare via radio la veridicità dei documenti appena fornitigli.

Istintivamente accesi una delle mie sigarette, una Pal Mall, rimanendo seduto al posto di guida. Daniela mi chiese: “Con la pistola come fai adesso?”. Risposi: “Non ti preoccupare tesoro, è tutto a posto”. Anche se non ricordavo di aver preso l’autorizzazione a trasportala.

L’uomo in nero ritornò verso di noi: “Apra il portabagagli, per favore”. Scesi dall’automobile e andai verso il retro. “Da dove venite?”

“Hotel le Duc, conosce? Un posticino incantevole, l’ideale per portarci una bella donna”. Con il mento feci un gesto ammiccante indicando Daniela. L’appuntato fece un sorriso con l’aria di aver compreso e chiese: “Cosa c’è li dentro?”. Indicando la borsa del PC.

“La mia pistola, una Colt Government 1911 e, se non ricordo male, il PC portatile”.

Mi sorrise guardando lo zaino fotografico. Mi restituì i documenti e salutò. Ricambiai il saluto e ripresi posto in macchina, ripartendo subito dopo aver allacciato la cintura di sicurezza.

Percorsi circa duecento metri sentii la voce di Daniela: “Sei un bastardo. Dove si trova quest’Hotel le Duc?”.

“Non so nemmeno se esiste tesoro, ma come vedi ha funzionato. Chi fermerebbe un uomo al ritorno da una giornata in uno splendido albergo con una bellissima donna come te. Nessun uomo, vestito di nero o meno, se la sentirebbe”.

Daniela scoppiò a ridere: “Si, sei proprio un bastardo!”.

No, non lo ero. Ma la vita mi aveva insegnato a mostrarmi come tale. Speravo che Daniela non scoprisse la sottile linea di demarcazione fra l’essere e l’apparire un bastardo. Non avrei avuto più alcuna difesa con lei.

Giunti poco dopo Usseaux, svoltai su una piccola strada non segnalata. “Dove stai andando?”.

Non risposi e continuai lungo la strada, dopo aver superato uno stretto ponte Dani poté ammirare il Lago Laux, un incantevole specchio d'acqua limpida. Fermai la macchina sulle sponde del piccolo lago montano: “Questo posto l’ho scoperto con Claudia, a quei tempi eravamo felici. Ora piccola noi due dobbiamo parlare, o meglio, io devo parlarti di Renato, delle sue storie, dei suoi fantasmi. Credo sia il momento di farlo”.

Mi guardò con tenerezza: “E’ quello che speravo tu facessi, anche se non credevo sarebbe successo tanto presto”. Fece un attimo di pausa: “Ma quelle dipinte sopra le finestre della casa di fronte, non sono croci Templari?”.

Si, lo erano, ma in quel momento erano anche l’ultimo dei miei pensieri.