iIl lago...

 

Ignorai la domanda di Daniela sulle croci templari ed iniziai a raccontare la mia storia con Claudia, come l’avevo conosciuta, dei quasi cinque anni passati insieme, dei momenti di crisi e distacco e dei successivi  riavvicinamenti.

“E’ stata una storia difficile la nostra, fin da quando è iniziata. Nel corso degli anni abbiamo tentato più volte di interrompere la nostra relazione, ma di fatto non siamo mai riusciti a stare lontani l’uno dall’altra”.

Mentre parlavo, Daniela mi guardava in silenzio. Molto probabilmente non voleva interrompere quel fiume di parole che, come se improvvisamente qualcuno avesse aperto una diga, uscivano dalla mia bocca, dal mio cuore.

Era la prima volta che parlavo liberamente con qualcuno della mia storia con Claudia.

“Dei momenti passati con lei ricordo solo quelli belli. E’ come se i momenti tristi, quelli in cui ero disperato, li avessi cancellati, Daniela”. Disse solo: “E’ normale quando si ama veramente”.

La mia vita, il mio passato, i dodici anni di differenza fra me e Claudia, il mio modo di essere, sempre pronto a lottare contro il mondo, certamente non avevano contribuito alla costruzione di una storia normale, una storia serena.

I problemi che avevo dovuto affrontare, la perdita del lavoro, i conseguenti debiti fatti nel tentativo di rimanere a Torino, la paura di non riuscire a ricostruire un futuro, avevano sicuramente inciso su di me e, conseguentemente, sulla nostra relazione.

“Forse non mi ha mai amato veramente”. Dissi guardando verso il lago.

Daniela mi prese per mano: “Non la conosco, ma sono certa che ti abbia amato”. Il modo di parlare di Daniela, la sua dolcezza che traspariva dal modo in cui mi aveva preso per mano, le poche parole che aveva pronunciato, riuscirono a tranquillizzarmi, a farmi rimanere sereno anche nel ripercorrere l’ultimo dei miei tanti fallimenti.

Continuavo a parlare senza rendermi conto del tempo che passava. Così quasi senza che me ne accorgessi, ci ritrovammo nel buio della sera, illuminati solo dalle deboli luci che filtravano dalle finestre dell’hotel posto sulla riva del lago.

Conclusi con: “La storia con Claudia è questa Dani. Credo non ci sia altro da aggiungere”. Daniela continuava a tenere la mia mano stretta fra le sue. Solo allora, una volta finito di parlare, mi accorsi che l’orologio della Laguna segnava le ventuno e venticinque. “Vuoi ancora cenare insieme a me?”. Domandai.

“Se prima lo desideravo, ora sono convinta di volerlo”. Aveva un viso dolcissimo.

Aprii lo sportello della macchina dicendo: “Vieni dolce. Proviamo a vedere se qui ci fanno ancora cenare. Preparano una polenta veramente buona, di quelle a farina grossa. Macinata a pietra come si faceva una volta”.

Presi Daniela per mano ed insieme percorremmo il breve tratto di strada che ci separava dall’entrata del piccolo hotel, che portava lo stesso nome del laghetto: Laux.

Una volta entrati chiesi se era ancora possibile cenare. Il proprietario ci guardò, credo avesse notato il fatto che ci stavamo tenendo per mano. Poi indicandoci un tavolo disse: “E’ tardi, ma accomodatevi lì. Il tavolo vicino al camino è uno dei migliori per una bella coppia come voi”.

Prendemmo posto al tavolo, sedendoci uno di fronte all’altro, lateralmente al grande camino in cui ardevano ancora i resti di alcuni ceppi. Entrambi ordinammo della polenta con formaggi, che il proprietario ci assicurò essere fatti artigianalmente in quella zona. Oltre all’acqua prendemmo del vino della casa, un dolcetto sfuso, servito in una caraffa di ceramica.

Durante la cena parlammo dei posti situati nei dintorni del luogo ove ci trovavamo. Del forte di Fenestrelle e delle sue mura note come la muraglia piemontese. Dei luoghi che avevano ospitato le recenti olimpiadi invernali. Ancora una volta il tempo passò senza che ce ne accorgessimo. La sala da pranzo, nel frattempo, si era svuotata. Eravamo rimasti da soli.

Daniela guardò l’orologio: “Sono le ventitre e quarantacinque. Te la senti di guidare fino a Torino? Non è molta strada, ma il primo tratto è tutto curve”.

“Che alternativa abbiamo Dani?”.

“Possiamo provare a chiedere se hanno delle stanze libere ed eventualmente dormire qui. Domani è domenica e non lavoro”.

Feci un cenno all’albergatore e, quando giunse vicino al nostro tavolo, domandai: “Avete delle stanze disponibili?”. Ci osservò ancora una volta: “Si abbiamo una matrimoniale. Era prenotata ma intorno alle ventuno hanno telefonato per disdire. Siete una coppia fortunata!”.

Questa volta fui io a decidere. Presi la mano di Daniela e dissi: “Si è vero, siamo una coppia fortunata. Va benissimo, allora questa notte dormiamo qui”. Poi chiesi una grappa per me ed un Genepì per Daniela.

Terminati i liquori il proprietario ci mostrò la stanza, piccola ma accogliente, in stile montano, con il soffitto in legno e l’arredamento in pino. Ci salutò con cordialità augurandoci la buona notte.

Chiusi la porta a chiave. Daniela era lì, davanti a me, in piedi. Le posai le mani sulla vita e la guardai negli occhi. Senza dire nulla spensi la luce, la avvicinai stringendola delicatamente ed incominciai a baciarla.

Iniziammo a spogliarci vicendevolmente, lentamente, senza fretta, con dolcezza, fra un bacio e l’altro. Avevamo davanti a noi tutta la notte.

Facemmo l’amore, con le stesse paure di due ragazzi alla loro prima esperienza. Era meraviglioso accarezzarla, baciarla, sentire il suo calore. Poi ci addormentammo stretti l’uno all’altra.

Avevo dimenticato di telefonare a Valerio.