iIl rientro...

 

Ci preparammo rapidamente e scendemmo per fare colazione e saldare il conto. La tavola era apparecchiata e, su di essa, figuravano burro, marmellate, miele, pane e del ciambellone. Insomma tutto il necessario per un’ottima colazione.

Di solito in albergo facevo sempre delle colazioni abbondanti, al contrario di ciò che avveniva quando mi trovavo a casa, dove di norma mi limitavo a prendere un caffé. Quella mattina, forse a causa della tensione, mi limitai al solito caffé mentre Daniela, imburrata una fetta di pane tostato ancora caldo e coperto lo stesso con marmellata di albicocche, iniziò a consumare la colazione. “Dovresti mangiare qualcosa, tesoro”.

“Non oggi, magari un’altra volta”.

Finì di mangiare il pane che aveva preparato, bevve anche lei il caffé e quindi si alzò dicendo: “D’accordo. Se vuoi, possiamo andare”.

Saldato il conto dell’albergo, salimmo in auto ed iniziammo a percorrere la strada che ci avrebbe ricondotti a Torino. Durante i primi chilometri restammo entrambi in silenzio. L’unico rumore che si udiva era quello del motore della vecchia Laguna quando, affrontando le curve, scalavo le marce.

Poco prima di giungere a Fenestrelle, Daniela inserì nell’impianto stereo la Revancha del Tango, un CD dei Gotan Project, alzando in modo provocatorio il volume. Ignorai volutamente il fatto e continuai a guidare aumentando la velocità. Sui tornanti di Fenestrelle si sentì lo stridere dei pneumatici sulla strada. Daniela senza dire nulla alzò ulteriormente il volume. Gli altoparlanti, non di ottima qualità, iniziarono a distorcere i toni bassi emanando delle fastidiosissime vibrazioni.

Pochi minuti dopo Daniela spense la radio e, con tono imperativo, mi disse: “Appena puoi accosta!”. Pensai immediatamente che la mia guida, un po’ sportiva, le avesse provocato dei fastidi allo stomaco così, non appena ebbi la possibilità, accostai su una piccola piazzola posta sul lato destro della strada. Fermata l’automobile mi rivolsi a Daniela: “Vuoi scendere per prendere un poco d’aria, Dani?”. La risposta arrivò immediata, con tono stizzito: “Non chiamarmi Dani, non lo sopporto!”.

Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. L’unico modo per saperlo era chiederlo e così feci: “Che succede Daniela? Qualcosa non va?”.

Rimase in silenzio, probabilmente alla ricerca delle parole giuste per dirmi quello che pensava o, forse sarebbe più giusto dire, quello che provava in quel momento: “Non sono una di quelle che si scopa il primo che incontra!”.

Se non fossi stato seduto, sarei caduto per terra: “Non lo penso Daniela, come ti viene in mente una cosa del genere?”.

“Tu cosa avresti pensato se questa mattina non mi avessi trovata nel letto? E poi, per avere un poco di tenerezza, sono stata io a doverti abbracciare e baciare!”. Pronunciava le frasi tutte di un fiato. “Ma non importa. Ora se non ti dispiace ripartiamo. Voglio tornare a casa mia”.

“Riaccompagnarti a casa è esattamente quello che avevo intenzione di fare. Entrambi abbiamo bisogno di lavarci e cambiarci. Sono tre giorni ormai che indossiamo gli stessi indumenti”. Mi fermai volutamente per pochi istanti. “Poi passo a prenderti. Dobbiamo fare un salto in libreria. Al Lingotto sono aperti anche la domenica. Voglio pranzare insieme a te. Dopo ci metteremo a lavorare su questo rompicapo che ci è capitato fra le mani. Credo che ci vorrà molto tempo e quindi sarai costretta anche a cenare con me, Dani”. Questa volta la chiamai, Dani, di proposito, solo per provocarla. Accennò ad una risposta ma non le diedi il tempo di parlare. La strinsi e la baciai.

“A me invece è capitato di scoparmi la prima con cui sono uscito. Ma con te questa notte ho fatto l’amore”. Rimisi in moto e ripartii. Questa volta fui io ad accendere la radio, ma ad un volume moderato. Poco dopo le comunicai che dovevo fare una telefonata. Volevo chiedere a mia madre un consiglio su quali testi acquistare relativamente ai temi su cui avremmo dovuto studiare. Chiesi a Daniela di prendere dal cassetto della Laguna la mia Moleskine ed una penna per appuntare i titoli che le avrei dettato.

Inserii l’auricolare e composi il numero di casa di mia madre. Appena rispose esordii con la frase che costituiva il saluto, ormai collaudato, con cui iniziavo le telefonate con lei quando non ero solo: “Ciao madre, sono tuo figlio. Ti ricordi di me?”. Attesi la risposta: “Difficile scordarsi di te, figlio mio. Come stai?”. La parte iniziale delle nostre telefonate seguiva un rituale ben preciso. Avrei potuto registrare un nastro riuscendo a simulare anche le pause fra una battuta e l’altra. Ma questa volta era diverso, per cui tagliai buona parte delle frasi rituali: “Madre, ho bisogno di te, mi servono le tue conoscenze!”.

“Hai bisogno di una raccomandazione amore di mamma? Hai deciso di cercare un lavoro serio? Non dirmi che stai mettendo la testa a posto?”. Se fosse stata a portata di mano sarei stato fortemente indeciso: avrei potuto strangolarla una volta per tutte oppure abbracciarla. “No, madre. Parlavo di conoscenze esoteriche!”.

“Guarda un po’, lo scettico ha bisogno di un filtro d’amore. Cos’è stai perdendo colpi con le donne? Lo sai che non credo nei filtri d’amore”. Mi augurai che Daniela non riuscisse a sentire quella strana conversazione con la mia genitrice.

“Madre!”. Calcai molto l’accento su tale modo di chiamarla. “Va bene, è lì con te. Tu figlio mio finirai rovinato dalle donne, comunque, dimmi cosa posso fare per te ma non chiedermi soldi. Questo mese devo pagare il mutuo e poi…”.

“Si mamma, lo so. Non mi servono soldi. Voglio solo sapere quali libri cercare sul tema della simbologia esoterica, su Torino, sul Graal… insomma, tutto quello che ti viene in mente relativamente alla simbologia, che sia massonica, magica, runica o quel che preferisci”.

Si prese un attimo per riflettere. Poi esordì con: “Cosa succede Renato? Non è il tipo di letture che fai di solito, lo sai che a tua madre, per di più una strega non puoi nascondere certe cose”.

“Madre, la telefonata la sto pagando io, sto guidando ed ho fretta. Ti sarei grato se mi dessi titoli ed autori, non ho molto tempo”.

Iniziò con una lista che sembrava la collezione della biblioteca nazionale. “Mamma, pochi titoli e mirati per favore. Non voglio mettere su la biblioteca dell’Abbazia di Monte Cassino. E magari che siano reperibili in una di quelle librerie normali che frequentiamo noi scettici!”.

Questa volta sembrò capire che la mia era una richiesta seria. Enunciò alcuni titoli ed i relativi autori che, ovviamente, ripetei a voce alta in modo da dare a Daniela la possibilità di trascriverli sulla Moleskine.

Conclusa la lista di cinque titoli, mi chiese: “Ora mi spieghi cosa sta succedendo?”. Non era il caso di mettermi a fornire spiegazioni: “Appena vengo giù a Roma ti racconto tutto, promesso! Un bacio”.

“Ti voglio bene, figlio mio”. Stavamo ritornando al rituale, anche se questa parte mi piaceva: “Anch’io mamma. Ci sentiamo presto, un bacio”. Chiusi la telefonata tra gli sguardi divertiti di Daniela.

Intorno alle undici e trenta fermai la Laguna sotto casa di Daniela: “Passo a prenderti fra un’ora e mezza. Riesci ad essere pronta?”.

“Si, volendo si. Ma non so se è il caso. Insomma sono confusa, questa mattina…”

Non la lasciai proseguire: “Sei meravigliosa piccola. Per favore non lasciarmi da solo proprio adesso”.

Sorrise, guardò l’orologio: “Bene, fai squillare il telefono quando stai per arrivare, per le tredici sarò pronta”. Mi lanciò un bacio e scese dalla macchina. Aspettai che richiudesse il portone e ripartii diretto a casa.

Ora mi ci voleva una doccia ed una camicia pulita. Quel viaggio in fondo, fra tante stranezze, cominciava ad avere qualche lato positivo: Daniela.