L'ispettore

In completo nero. Giacca a tre bottoni, cravatta grigio scuro a tinta unita e scarpe di cuoio lucidate a specchio. Un fisico invidiabile, almeno per quanto mi riguarda, l’uomo avanzava verso di noi con passo tranquillo.

Appena fu giunto davanti al nostro tavolo, nel tentativo di stupirlo, gli dissi: “Prego, si accomodi!”, indicando la sedia libera posta di fronte a me.

Si limitò ad un grazie e, mentre si sedeva, infilò la mano destra sotto la giacca. Istintivamente afferrai la finta pistola nascosta sotto il tovagliolo.

Quell’uomo mi sorprese. Bloccò la mano ritraendola prontamente: “Può metterla via e continuare a pasteggiare tranquillamente. La pistola la porto dall’altro lato, sono ambidestro. Anche se di solito sparo con la sinistra. Ispettore capo Giulio Allegri, Polizia di Stato”.

Pronunciò quelle poche parole con una calma fuori dell’ordinario, lasciandomi piacevolmente sorpreso. Si accomodò meglio sulla sedia che avevo indicato e si girò alla ricerca della cameriera.

“Ho già ordinato un’altra bottiglia ed un terzo bicchiere”. La frase mi uscì spontanea, malgrado la tensione del momento, come se stessi parlando ad un amico conosciuto da sempre. Il modo di fare di quell’uomo mi affascinava.

Valerio assisteva alla scena con aria stupita, quasi vivesse in diretta la registrazione di uno dei tanti sceneggiati che riempiono gli attuali palinsesti televisivi.

Nel frattempo sulla nostra tavola era giunta la seconda bottiglia di vino. La cameriera attendeva discretamente che l’ispettore facesse un cenno a conferma che il vino non avesse difetti.

Allegri domandò: “Vuole che le mostri il tesserino?”. Risposi con un cenno del capo, lasciando intendere che non era necessario. Solo in quel momento portò il bicchiere alla bocca, e dopo aver gustato il liquido rosso amarena si rivolse alla cameriera: “Conservato perfettamente, signorina. La ringrazio per la paziente attesa. Mi scuso del tempo eccessivo che l’ho trattenuta al tavolo”.

Fra me e me pensai: “Sbirro e gentiluomo”, mutuando l’espressione dal titolo di un vecchio film.

Rimasi in silenzio alcuni istanti facendo correre più volte lo sguardo tra Valerio e colui che, prima della fine della serata, avrei cominciato a chiamare Giulio. Ero in attesa del momento in cui mi avrebbe chiesto di mostrargli i miei documenti, ma ciò non avvenne.

L’ispettore, dopo aver sorseggiato un altro poco di vino, riprese a parlare: “Complimenti! Mi ci sono volute quasi due ore prima di capire che avremmo potuto aspettarvi per una vita”. E poi rivolgendosi a me: “Anche se credo abbia deluso la signora a cui ha citofonato. Ci teneva ai suoi fiori”.

“Stia tranquillo Ispettore, troverò il modo di sdebitarmi con la signora. Se non sbaglio, non mi sono presentato. Per ora preferirei limitarmi al nome di battesimo: Renato. A meno che non voglia i miei documenti…”.

Sorrise con un pizzico di ironia: “Non vedo perché dovrei chiederglieli. In fondo, a parte un piccolo particolare, lei non ha commesso alcun reato”.

Fu Valerio ad interrompere la nostra schermaglia verbale: “Visto che non abbiamo commesso alcun reato, mi spiega perché lei ed il suo amico mi seguivate?”.

Completamente preso da ciò che stava avvenendo al nostro tavolo, avevo dimenticato il secondo uomo che era rimasto, con aria impassibile, seduto al bancone dinanzi al suo boccale di birra.

“Già, il suo amico. Forse sarà il caso di invitare anche lui al nostro tavolo, non crede?”.

Allegri guardò prima Valerio e, subito dopo, fissò lo sguardo su di me: “Non è un mio amico. Forse, potrei definirlo un collega… E’ un ufficiale della Guardia Svizzera”.

Portò nuovamente il bicchiere alle labbra, sorseggiò lentamente il vino, quindi, dopo aver posato il bicchiere, riprese il discorso che aveva interrotto: “Credo che lo svizzero preferisca rimanere al bancone. E’ rimasto incantato dalla bellezza mediterranea della signorina”.

Valerio cominciava a smaniare: “Mi scusi se insisto, ispettore. Ma non ha risposto alla mia domanda!”.

“Ha ragione, mi perdoni. Diciamo che il nostro è un servizio di scorta. Abbiamo l’incarico di proteggerla signor Toldi. Non mi chieda da chi o da cosa, perché non saprei risponderle. L’unica cosa che posso dirle è che la richiesta arriva da Roma, per la precisione dal Vaticano. E questo spiega la presenza dello svizzero”.

Intuii che Toldi doveva essere il cognome di Valerio. Pensai che avrei potuto fare qualche ricerca sulla morte della madre. Dal momento che ne avevano parlato i giornali non sarebbe stato difficile reperire qualche informazione.

In questa strana storia quello che mi mancava era un filo conduttore. Tutto quello che succedeva sembrava capitare quasi per caso. Ma ero convinto che così non fosse.

Mentre facevo, tra di me, queste riflessioni, mi resi conto che al nostro tavolo era sceso un silenzio imbarazzante.

Fortunatamente arrivò la cameriera con i nostri secondi. Questo mi diede l’opportunità  di ricominciare a parlare, allontanandomi dai discorsi appena fatti. Li avrei ripresi in un altro momento.

Mi rivolsi ad Allegri: “Immagino che lei non abbia cenato, ispettore. Vuole ordinare qualcosa? Non c’è un grande assortimento di piatti ma le garantisco che si mangia molto bene”.

Mentre Allegri, accogliendo il mio invito, ordinava un piatto di polenta con le salsicce, io e Valerio riprendemmo a mangiare.

Tra un boccone e l’altro domandai: “Ispettore, sarei curioso di sapere qual è il piccolo particolare, o forse dovrei dire il piccolo reato, che avrei commesso”.

“Ci sarebbe il danneggiamento dell’auto di servizio, hanno dovuto portarla via con il carro attrezzi. Non riuscivano a capire cosa gli era capitato. Sembrava ingolfata e non c’è stato verso di rimetterla in moto”.

Sorrisi all’idea che l’auto della polizia era stata portata via e guardando Giulio risposi: “Dica al vostro meccanico di togliere gli stracci dal tubo di scappamento. Vedrà che tornerà come nuova”.

Allegri scoppiò in una fragorosa risata e subito dopo commentò: “ Lasci che sia lui a scoprirlo. Temo gli ci vorrà un poco di tempo, ma gli servirà ad apprendere che, malgrado l’elettronica, le auto di oggi non sono poi così diverse da quelle di ieri!”.

Il suono del mio cellulare, che nel frattempo aveva iniziato a squillare, interruppe la nostra conversazione. Aprii il coperchietto del telefono, o come diavolo si chiama. e mi comparve il viso sorridente di Claudia. Adoravo quella foto scattata qualche anno prima. Mi alzai rapidamente e dopo essermi scusato con i miei commensali, raggiunsi l’uscita del locale.

Risposi prontamente: “Ciao Claudia, che piacere sentirti, come stai?”.

“Bene, grazie. Ti chiamo dalla Normandia, per cui ti prego di non fare troppe domande. Dovrei rientrare a Torino per la fine della prossima settimana e vorrei vederti. Credo sia necessario parlare di noi”.

Non riuscivo a trovare una risposta sensata, era evidente che non era sola e, conoscendola, potevo facilmente dedurre che non fosse con un’amica. Mi limitai ad acconsentire: “D’accordo, chiamami quando rientri. Mi raccomando stai attenta a non prendere freddo”.

L’ultima affermazione mi fece sentire un’idiota. La telefonata si interruppe bruscamente, probabilmente era caduta la linea.

Rientrai nel locale e ripresi il mio posto a tavola, Valerio e Giulio mi guardarono con aria preoccupata. Fu Valerio a parlare per primo: “Tutto bene? Hai l’aria di uno che è stato appena investito da un Tir”.

“Si, va tutto bene, grazie”. Le salsicce e le patate, rimaste nel piatto erano diventate fredde ed io non avevo più alcuna voglia di mangiare, mi si era chiuso lo stomaco.

Valerio comprese che non era il caso di indagare e cambiò discorso: “Tenente, oggi hai fatto un errore madornale. Ho chiesto all’ispettore come hanno fatto a trovarci cosi rapidamente”.

Allegri domandò: “Tenente?”.

è solo un soprannome ispettore, nella vita faccio il reporter. E quale sarebbe il madornale errore che ho commesso?”. Ero curioso anche io di sapere come avevano fatto a ritrovarci così facilmente.

Valerio sembrava più rilassato: “La macchina, ovvio”.

Guardai Giulio con aria interrogativa. La risposta non si fece attendere: “Era naturale che tornassimo nei pressi di casa sua, e non c’è voluto molto ad individuare la macchina del Signor Toldi, è parcheggiata in bella vista, proprio qui davanti. Ma stia tranquillo è un errore piuttosto comune”.

Allegri guardò l’orologio: “Si sta facendo tardi, sono già le ventitrè e quarantacinque. Credo che lo svizzero cominci ad annoiarsi, oltre al fatto che se continua a buttare giù birra non sarà facile riportarlo al suo albergo. Se non vi dispiace saldo il conto e vi saluto”.

“La cena spetta a me ispettore. Vada pure tranquillo. Credo che ci rivedremo presto, visto che sono sotto la sua protezione”.

Allegri ringraziò, si alzò e mi porse un biglietto da visita: “Le affido il signor Toldi. Per qualsiasi necessità mi chiami, tengo il telefono sempre acceso. Un’ultima cosa, la pregherei di non chiamarmi ispettore, preferirei Giulio, sempre che non le dispiaccia”.

“Certamente Giulio, penso anche che potremmo smettere di usare questo fastidioso Lei, sempre che la cosa non ti infastidisca”.

Fece un cenno di assenso e poso un sassolino sul tavolo: “Credo che questo sia tuo. Era posato sul cofano della macchina di servizio”. Quindi salutò Valerio e si incamminò verso il bancone.

Era bastato uno sguardo per capire che il sassolino era in realtà una runa. A quanto pare quel pomeriggio c’era qualcun altro oltre a noi ed ai poliziotti che ci seguivano. Questa storia cominciava ad essere troppo affollata.