iL'Abbazia...

 

Daniela si svegliò verso le otto e trenta. Cercai di scansarmi da un lato, senza farmi notare. Non volevo metterla in imbarazzo. In fondo era nuda, a letto con un quasi sconosciuto. Fu lei a trattenermi stringendomi fra le sue braccia.

Posò un tenero bacio sulle mie labbra e domandò: “Che ore sono? Deve essere tardissimo. Dormivo così bene!”.

Le dissi l’ora continuando a tenerla stretta, poi mi tirai su, la baciai sulla fronte: “Credo sia ora di alzarci Dani. Dobbiamo passare da Valerio e raggiungere l’Abbazia”.

Sorridendo mi chiese: “Perché non mi hai mai invitato a cena prima di ieri?”. In realtà io non l’avevo invitata a cena, era stata lei ad imporre la sua presenza in quel viaggio verso Triora. Ritenni non fosse il caso di farglielo notare: “Non invito mai donne che indossano tailleur da quarantenne acida”.

Mi fulminò con uno sguardo, poi scoppiò a ridere e disse: “Baciami!”. Ovviamente lo feci, il suo era un ordine. Un dolcissimo ordine.

Subito dopo ci alzammo ed una volta lavati e vestiti, uscimmo per raggiungere il locale dove Valerio ci aspettava.

Durante la colazione scambiammo quattro chiacchiere con il cameriere. Ci informò di aver cercato Bonomi con il solito metodo che, ormai, conoscevamo anche noi. Senza però essere richiamato. “A volte capita. Non credo ci sia motivo di preoccuparsi”.

Mi diede il suo numero di cellulare ed io ricambiai dettandogli il mio. Ci lasciammo con la promessa che in serata, una volta rientrati in Italia, lo avrei chiamato. Sia per raccontargli del viaggio, sia per avere notizie di Carlo.

Raggiunta la Laguna spostai la pistola dallo zaino alla borsa del PC. Non avevo intenzione di portarmela a spasso tutto il giorno, soprattutto dovendo entrare in una chiesa.

Programmai il navigatore su Savins le Lac e partimmo, accompagnati dalla voce di Jane Monheit in “Taking a chance on love”. Scelto, fra i pochi che tenevo in macchina, da Daniela. Si, forse, dovevo concedermi una chance.

Malgrado avessi il navigatore, quando mi fermai poco prima del confine di stato per fare benzina, Daniela acquistò una cartina della Michelin. Provence – Alpes – Côte d’Azur, numero 527.

Una volta ripartiti la aprì e dopo qualche minuto esclamò: “Sai che unendo Torino, Triora e L’Abbaye di Boscodon si ottiene un triangolo?”.

Era unica. “Mi sembra evidente che unendo tre punti non allineati si ottenga un triangolo, tesoro!”.

Acida come sempre: “Non un triangolo qualsiasi, ma un triangolo equilatero. Idiota!”. Bloccai l’automobile sulla prima piazzola di emergenza che trovai, le strappai la cartina dalle mani. Osservai attentamente e le rimisi la cartina in mano ponendole una domanda: “Hai un rocchetto di filo in borsa?”. Mi guardò con aria sconcertata: “Ma allora sei idiota davvero? Perché dovrei avere del filo da cucire in borsa?”.

Non la ascoltai e ripartii. Entrati in Francia, giunto al primo paese parcheggiai. “Scendi. Cerchiamo una merceria. Mi serve il tuo splendido francese. Voglio del filo o dello spago o un cordoncino, non importa quale dei tre”.  Mi guardò sempre più stupita, ma mi seguì.

In una specie di emporio, uno di quei negozi che vendono un poco di tutto, trovammo quel che cercavo: un rotolo di spago.

Mentre tornavamo velocemente verso l’automobile, Daniela che mi seguiva disse: “Scusami. Te la sei presa perché ti ho detto idiota? Non volevo, ecco io…”. Mi voltai aspettai che fosse di fronte a me, le feci una carezza sul viso: “Sei stupenda Dani”.

Raggiunta la Laguna presi la cartina geografica e la distesi, aperta, sul cofano. Misurai con lo spago la distanza fra i tre luoghi: Torino, Triora e l’Abbazia. La misurazione mi confermò che si trattava di un triangolo equilatero. Quasi perfetto. Forse qualche millimetro di differenza fra un lato e l’altro. Ripiegata la cartina la consegnai a Daniela. Risalimmo in macchina e quindi riprendemmo il viaggio verso la nostra meta.

Era da un poco di tempo che Daniela mi guardava senza parlare. Fui io a rompere quel silenzio che cominciava a pesarmi: “Scusami. Mi sto comportando come un idiota. Perdonami Dani”.

“Stai tranquillo non è successo niente. Mi spieghi perché era cosi importante misurare i lati del triangolo?”.

“Si, certo. Vedi da sempre il triangolo equilatero è stato importante nella simbologia religiosa, ma non solo. Per esempio era il simbolo esoterico dei pitagorici. La legge del ternario domina tutto e la trinità la si trova in tutte le grandi religioni. E poi, se ne sovrapponi due, uno con il vertice posto in alto e l’altro con il vertice in basso, otterrai quello che viene chiamato il sigillo di Salomone, una stella a sei punte. Di certo ne avrai sentito parlare”.

Sorrise, dicendo: “Una semplice coincidenza, è evidente Renato”.

“In questi ultimi giorni le coincidenze cominciano ad essere troppe, piccola. Non pensi?”. Mi rispose prontamente: “Quali?”.

E’ vero, Daniela non conosceva la sequenza di eventi che si erano, casualmente, succeduti a partire da lunedì. Così gli spiegai brevemente della richiesta di Bonomi: il reportage sulla “Torino magica”. Della runa trovata, a scapito della mia caviglia, sulla scalinata della Gran Madre. Della runa ancora visibile su una delle colonne della chiesa stessa. Della cena nel paese delle streghe. “Il resto lo conosci, dalla scomparsa di Carlo in poi…”.

Daniela aveva seguito con attenzione, senza dire una parola. Quando terminai la mia elencazione dei fatti mi pose una domanda: “E’ per qualche motivo in particolare che porti una runa tatuata sul polso sinistro?”.

“Non è una runa. E’ il simbolo della pace. Sono trent’anni che lo porto e so esattamente di cosa si tratta!”. Forse avevo calcato troppo il tono di voce nel pronunciare le ultime parole. Stavo per scusarmi, quando lei riprese a parlare: “Si, lo so. Ma vedi, se togli il cerchio, scoprirai che in realtà è una runa. Si tratta di Allghiz, è la forza che collega lo spirito individuale all’entità fisica pronta ad incarnarsi sulla terra. Protegge e difende quegli aspetti che entrano in gioco quando veniamo al mondo: il corpo, la mente, l’anima e lo spirito”.

Ricordai il 24 dicembre di circa quarantacinque anni fa. “Sei un’esperta di rune?”

“No! Solo ricordi giovanili, da piccola mi ero appassionata a quel mondo. Probabilmente ero spinta dai primi amori infantili. Ma adesso concentrati sulla guida, o non arriveremo più”. Alzò il volume dello stereo e chiuse gli occhi.

Ora le rune erano tre, come tre erano il lati del triangolo, tre le città in cui ero stato negli ultimi giorni. Il tre: il numero perfetto.

Mi concentrai sulla strada in poco più di un ora avremmo raggiunto l’Abbazia.

Come previsto dal navigatore dopo un’ora arrivammo a Savins le Lac. Proseguii verso Boscodon, seguendo le indicazioni stradali, fino a raggiungere il piccolo parcheggio nei pressi dell’Abbazia.

Presi dal portabagagli la macchina fotografica ed, insieme a Daniela, mi avviai verso la strada sterrata che conduceva all’ingresso della chiesa.

Notai una vecchia mendicante. Era seduta su di un tronco, all’inizio dello sterrato. Quando giungemmo alla sua altezza tese una mano. Presi dal taschino dei jeans una moneta da due euro. E sorridendole le porsi il denaro.

La mendicante lo ripose in una tasca della gonna: “Ton voyage est commencé. Maintenant tu devras trouver la rue tout seul. Né deux fois”. Non parlando il francese non compresi quelle parole. Dopo qualche passo mi rivolsi alla mia compagna di viaggio: “Cosa diceva la vecchietta?”.

Daniela mi prese per mano: “Sei sicuro di volerlo sapere?”.

“Certo piccola perché non dovrei? Sai sono curioso come una femmina!”.

La sentii stringere più forte la sua mano intorno alla mia: “Ha detto…”. Fece una breve pausa. “Ha detto: il viaggio è iniziato. Ora la strada devi trovarla da solo, nato due volte”.

Mi voltai rapidamente all’indietro, alla ricerca della vecchia. Non era più al suo posto. Scomparsa in pochi istanti. Si era volatilizzata nel nulla.