L'introvabile

Decisi di lasciar passare qualche giorno prima di recarmi al giornale dove avrei ritirato l’anticipo concessomi dal direttore. Ritenevo che precipitandomi immediatamente avrei perso di dignità e dato l’idea di avere estremo bisogno di soldi. Cosa per altro vera, ma qualche giorno potevo ancora tirare avanti.

Passai le giornate con maggiore tranquillità dato che il problema dell’affitto era risolto. Mi dedicai alla lettura di un romanzo che avevo iniziato da poco ed a scattare alcune foto da inviare alla banca immagini attraverso cui vendevo le mie fotografie commerciabili.

Misi temporaneamente da parte il reportage sulla “Torino magica”, ed aspettai che la caviglia tornasse alla normalità, evitando di sforzarla eccessivamente.

Insomma mi presi due giorni di pausa cercando di rilassarmi.

La mattina del venerdì decisi di andare al giornale, avrei ritirato l’anticipo. Dovevo passare in banca a cambiare l’assegno, visto che i miei conti correnti erano inutilizzabili ormai da tempo. Uscii di casa ad una ora improponibile, almeno per quanto mi riguardava.

Alle nove e trenta in punto ero di fronte alla “signora assistente del signor direttore”, come amavo definire la segretaria di Bonomi. Salutai senza entusiasmo e venni salutato con aria di sufficienza.

La signorina mi informò che Bonomi aveva lasciato una busta a mio nome e me la consegnò.

Notai lo spessore della busta e scoprii, non senza stupore, che i seimila euro dell’anticipo erano in contanti, fatto se non altro strano. Dentro la busta c’era un foglio di carta formato A4 che avvolgeva le banconote. Sul foglio era riportato un breve testo, scritto in perfetta calligrafia con una penna stilografica.

La breve lettera recitava: “Renato, all’interno trovi l’anticipo concordato. Per questioni personali ho preferito il contante ad un assegno, nella speranza che ciò non ti arrechi disturbo. Ti rinnovo il mio invito a muoverti con cautela nel preparare il reportage. Mi metterò in contatto con te appena mi sarà possibile”. Alla fine dello scritto era possibile leggere la firma del direttore.

Il fatto che i soldi fossero in contanti mi meravigliò, ma non mi arrecava alcun disturbo, anzi mi evitava la fila in banca. Era il resto del messaggio che mi creava disagio. Per la seconda volta, nel giro di pochi giorni, Bonomi mi invitava ad essere prudente. Mi avrebbe contattato lui appena possibile. In che avventura mi aveva imbarcato il direttore?

Il mio primo pensiero fu “Va bene Bonomi, ora basta giocare!”. Pronunciai, con un tono che non ammetteva rifiuti: “Signorina, dica al direttore che voglio vederlo immediatamente!”. 

Con una voce che denotava un forte senso di disagio la segretaria rispose: “Lo farei volentieri, ma martedì sera è stata l’ultima volta che ho visto il direttore”. Era la sera della nostra cena a Triora. “Mercoledì mattina ho trovato sulla scrivania la busta che le ho appena consegnato. Il dottor Bonomi non è rintracciabile ne sul cellulare ne tanto meno a casa”. Parlava senza riprendere fiato. “Ho pensato di rivolgermi alla polizia, ma capirà che se la notizia della scomparsa dovesse trapelare sarebbe un bel problema per il giornale. Cosa possiamo fare?”.

Impensabile, quella donna che per circa tre anni non mi aveva mai degnato di uno sguardo, che mi aveva sempre trattato con aria di sufficienza, ora mi domandava: “Cosa possiamo fare?”. Noi? Cosa c’entravo io in questa storia? Io mi ero inventato il mestiere di reporter per cercare di sbarcare il lunario, come si usa dire. Non facevo parte del personale del giornale e non avevo alcuna intenzione di giocare a fare l’investigatore privato. O forse si?

“Mi dia il numero di cellulare di Bonomi! Provo ad inviargli un sms, appena riaccende il telefono saprò che è nuovamente raggiungibile”. Senza esitare mi dettò il numero di telefono concludendo con un grazie.

“Ora vado a casa, signorina. Appena ho qualche notizia la chiamo. Fino a che ora la trovo in redazione?”. Mi piaceva l’aria da duro che istintivamente avevo assunto, stavo entrando nella parte del detective. “Sono qui fino alle diciassette, ma per favore mi chiami. Le lascio il numero del mio telefonino…”.

Memorizzai il numero alla voce “segretaria Bonomi” e dopo aver salutato uscii rapidamente, avevo bisogno di riflettere all’aria aperta. Cominciai a camminare sul Lungo Po in direzione del parco del Valentino, nel tentativo di riordinare gli eventi, più o meno casuali, degli ultimi giorni.

Mi resi conto che stavo girando all’interno del Valentino da qualche ora solo quando, il mio stomaco, mi avvisò che aveva estrema necessità di solidi. Poco distante da dove mi trovavo c’era un bar gestito da un egiziano e dalla moglie. Preparavano un ottimo kebab, una mano santa per chi, come me, soffre di disturbi intestinali, ma adoro quel cibo arabo. E così mi incamminai verso il bar.

Mi misi seduto ad un tavolino collocato all’aperto, la giornata era splendida. Cielo terso, sole e una temperatura che stimai intorno ai diciotto venti gradi. Gradevolissima.

Dopo aver ordinato una birra rigorosamente analcolica, visto che l’egiziano era musulmano, e il  kebab. Telefonai in redazione.

“Buongiorno signorina, ha qualche novità?”. Forse avrei dovuto aspettare che ricambiasse il saluto. “No, nessuna. E lei?”. Istintivamente controllai il cellulare da cui avevo inviato il messaggio a Bonomi, nulla di nuovo. “No non ha ancora riacceso il telefono,  ma credo di sapere da dove iniziare a cercarlo. Se per le diciotto non ci sono notizie, torno a Triora”. Era l’unica pista che avevo, ripartire dal luogo del mio ultimo incontro con Carlo. Magari il cameriere, dagli strani occhi azzurro trasparente, poteva fornirmi qualche indicazione.

La segretaria di Bonomi, decise di stupirmi: “Se vuole, la accompagno”. Le risposi che sarei tornato a Torino molto tardi, il viaggio non era breve. La cosa non sembrò crearle problemi. “Non si preoccupi, sono single e vivo da sola. Se non le dispiace prima vorrei passare da casa a cambiarmi.” Aveva già deciso, sarebbe venuta con me. “Posso chiederle il favore di passarmi a prendere? Abito in via Belfiore…, sa dove si trova?”. Il mio kebab stava diventando freddo al contrario della birra che stava diventando calda.

“Si, in San Salvario, passo per le diciotto, salvo novità”. Mi confermò che alle diciotto in punto si sarebbe fatta trovare sotto casa e salutò.  “Mi scusi signorina, vorrei farle una domanda. Conosco il suo numero di telefono, so dove abita, ma non ho il piacere di sapere come si chiama”, la sentii ridere, una risata cristallina. “Ha ragione, mi scusi. Daniela, mi chiamo Daniela. A dopo Renato”.

La conversazione terminò con il mio: “Ci vediamo dopo Daniela”.

Iniziai a mangiare il kebab, ormai completamente freddo, e a preparare mentalmente il mio secondo viaggio verso Triora.