iLa ricerca

Tenendo per mano Daniela, e continuando a pensare alla frase pronunciata dalla vecchia, ripresi a percorrere la strada sterrata verso l’ingresso dell’Abbazia.

Appena entrati notai il crocifisso posto fra le tre finestrelle collocate nell’abside della chiesa. Era lo stesso riportato nel libretto consegnatoci da Valerio, ma ero convinto che fosse diverso da quello che avevo visto nella mia precedente visita alla chiesa. Pensai che avrei potuto avere conferma della mia sensazione cercando fra le foto che avevo sul portatile.

Daniela, che era rimasta silenziosa mentre percorrevamo i circa trecento metri che separavano il parcheggio dall’ingresso dell’Abbazia, chiese sottovoce: “Cosa dobbiamo cercare secondo te?”.

“Non saprei Dani. Penso che la cosa migliore sia fotografare tutto quello che ci sembra insolito o particolare. Soprattutto ciò che ci può sembrare fuori posto. E poi rifletterci con calma riguardando le fotografie sul PC”. Feci una lunga pausa prima di continuare. “Se Bonomi voleva che venissimo qui deve esserci qualche motivo. La frase della vecchia può voler dire solo che dobbiamo, o meglio che devo, cercare qui l’indicazione per continuare il viaggio. Quindi, visto che comincia ad avvicinarsi l’ora di pranzo, direi di metterci al lavoro”.

Presi la macchina fotografica, montai uno zoom da 70-300 mm, che mi consentiva sia di fotografare singoli dettagli che di ottenere visioni di insieme. Cominciammo a girare per la chiesa scrutandone attentamente ogni angolo.

Scattai un elevato numero di fotografie, cercando di riprendere tutto quello che potevo e non solo quanto riportato nel libretto in nostro possesso. In particolare alcune cose attirarono sia la mia attenzione sia quella di Daniela, che sembrava divertirsi nei suoi nuovi panni di detective.

In una delle cappelle laterali era posta una croce templare mentre un ostensorio era stato posto in una rientranza aperta nel muro della cappella di destra, protetto da una grata. Vedendolo Daniela con aria divertita chiese: “Abbiamo trovato il Graal?”. L’idea era suggestiva. L’oggetto, sulle cui tracce si mosse persino Re Artù, sarebbe stato nascosto con un sistema intelligente: nasconderlo a tutti mettendolo in evidenza. Ma quella di Daniela era una battuta e come tale andava presa. “Finalmente potremo mettere fine alle nostre peregrinazioni Ginevra!”. Alle mie parole scoppiò a ridere: “Artù, comincio ad avere fame. Che ne diresti di raggiungere la tavola rotonda e, magari, farci servire qualcosa di caldo?”.

L’idea del pranzo non era da scartare, anche se preferivo un tavolo quadrato, più intimo e decisamente meno affollato della famosa tavola del citato Re. “Si, mia regina. Ancora qualche istante. Scattiamo qualche fotografia e poi andiamo a pranzo”.

Facemmo nuovamente il giro della chiesa cercando di non tralasciare nulla. Una A tracciata con vernice nera o con un pezzo di carbone, era stata posta sulla fiancata destra dell’abbazia, in posizione piuttosto defilata. Poteva essere semplicemente un indicazione rimasta dai tempi in cui l’Abbazia venne restaurata, ma forse poteva essere qualcosa di più. Cercai nel libretto, non ve ne era traccia. Così scattai alcune foto a quella strana A.

Chiesi alla mia esperta: “Non si tratta di una runa vero?”.

“No, assolutamente, anche se...” Mi guardò fisso negli occhi: “Potrebbe indicare proprio Re Artù, non trovi? In fondo il tuo nome inizia con Re ed alcuni fanno l’ipotesi che in realtà Re Artù fosse un romano!”. Pensai: “Sta delirando, forse è la fame”. Ma non feci in tempo a completare il mio pensiero che la signora assistente scoppiò a ridere. La sua risata era cristallina. La stessa risata che ricordavo aver sentito la prima volta che le avevo telefonato. “Non sto delirando tesoro, scherzavo. Anche se in fondo Nato Re lo sei”.

Scattata qualche altra foto, uscimmo dalla chiesa. Sarei voluto passare dal negozio di souvenir posto su un lato dell’Abbazia. Vi era una quantità non indifferente di libri riguardanti la storia della chiesa. Purtroppo erano tutti in francese ed avrei avuto qualche difficoltà nell’interpretarli. E’ vero, avrei potuto chiedere aiuto a Daniela, ma non era il caso di continuare a coinvolgerla. Forse prima avremmo dovuto parlare della strana situazione che si stava creando fra noi. Forse avrei dovuto parlarle di Claudia. Ma ogni cosa a suo tempo.

Tenendo Daniela per mano tornai verso la macchina. “Dove stiamo andando, Renato?”. La guardai negli occhi: “Stiamo andando a pranzo. Oggi mangiamo sul lago, è molto bello e preparano del pesce cucinato in modo delizioso. Poi torniamo qui. Vuoi amore?”.

La parola amore mi scappò senza rendermene conto. Fortunatamente lei non ci fece caso, o comunque non disse nulla in proposito.

Ripresi la strada per Savins le Lac diretto verso un ristorante, che oltre ad offrire una buona cucina a prezzi ragionevoli, consentiva di godere di una splendida vista sul lago di Serre-Ponçon.

Avevamo entrambi bisogno di rilassarci. Per qualche minuto non volevo pensare a Bonomi, alla vecchia mendicante, né tanto meno alle possibili indicazioni che avremmo dovuto trovare nell’Abbazia. Quello che ci voleva era un buon pasto accompagnato da un buon bianco. Avrei preso del Vin de Savoye, per l’esattezza del Mondeuse blanche.

Dopo pranzo avremmo potuto scaricare le foto sul portatile, e magari seduti sulle rive del lago, iniziare a farne una prima rapida disamina.

Fu Daniela ad ordinare, era incantevole sentirla parlare quel suo stupendo francese. Prendemmo della zuppa di cipolle. Guardandomi mi disse: “Se la mangiamo tutti e due non dovremmo avere problemi”. Una frase sicuramente allusiva e oserei dire provocante. Per secondo ordinò delle sogliole. Terminammo il pranzo con un dolce francese dallo strano nome: Ile flottante. Daniela mi spiegò che tradotto in italiano voleva dire l’isola fluttuante. Non so perché ma l’associai all’isola che non c’è.

Al termine del pranzo dissi a Daniela che volevo trovare un posto tranquillo per scaricare le foto e dargli uno sguardo. Mi rispose che avrebbe preferito sì trovare un posto tranquillo, ma dove rilassarci un poco. Le foto avremmo potuto guardarle con calma la sera. Aveva un’idea ma me l’avrebbe detta più tardi. Ora che sapeva che ero “curioso come una femmina”, si sarebbe divertita ad alimentare la mia curiosità fino all’ultimo istante. Provai ad insistere per sapere cosa dovesse dirmi ma fu un tentativo inutile. Ci rinunciai e decisi di attendere.

Cercammo un posto isolato sulle rive del lago e per circa un’ora restammo a contemplare le acque tranquille comodamente seduti su di una panchina.

Verso le diciassette decidemmo di ripassare dall’Abbaye per poi intraprendere il viaggio di ritorno verso Torino, quella che credevo fosse la nostra meta. Ma forse stavo sottovalutando Daniela.