Le spiegazioni...

Dopo quasi venti minuti, ed innumerevoli sollecitazioni da parte di mia madre, uscii dalla doccia. L’effetto benefico dell’acqua, leggermente tiepida, si era limitato all’eliminazione delle tossine aggrappate alla mia pelle, senza però riuscire a penetrare in profondità e a scacciare i mille pensieri che continuavano a ruotare vorticosamente nella mia mente, passando da Claudia a Daniela, da Boscodon a Bonomi, e così via.

Durante l’improvvisato pranzo, mia madre fu stranamente taciturna limitandosi a porre qualche vaga domanda sulla mia situazione sentimentale, o presunta tale.

Terminato il pranzo mi recai nella stanza dove avrei trascorso la notte. Mi sentivo terribilmente stanco. Un paio d’ore di sonno probabilmente non mi avrebbero rimesso in forma ma almeno avrei potuto recuperare un minimo di forze in attesa della cena.

Appena sdraiato sul letto mi ricordai che dovevo chiamare Daniela. Trovai il nominativo nella rubrica del cellulare, chiamai ed attesi la risposta. Come di norma iniziai la telefonata con il classico: “Ciao, Dani”. Dal tono della risposta immaginai che avesse indossato uno dei suoi “meravigliosi” tailleur da zitella acida.

“Si può sapere cosa devi fare a Roma?”.

“Niente di particolare tesoro, avevo solo bisogno di distrarmi un poco e rivedere gli amici…”.

Non riuscii a completare la frase: “Non chiamarmi tesoro!”. Il tailleur doveva essere grigio scuro. “Lo sai che non lo sopporto! Quando pensi di tornare a Torino?”.

“Domani sera sarò nuovamente a casa. Se vuoi possiamo cenare insieme, tesoro”. Trovavo delizioso chiamarla tesoro, soprattutto quando mi faceva notare che non lo gradiva.

“Non so, devo pensarci. Non credo che avrai il tempo di fare la spesa e di preparare la cena”.

Stava dando per scontato che avremmo cenato da me, così decisi di stupirla: “Ci riuscirò, tesoro. Magari non sarà una gran cena ma ci riuscirò!”.

Avevo usato le parole giuste. “Va bene, alla spesa penso io. Mi manchi, scemo. Ci sentiamo più tardi, oggi qui è un gran casino. L’assenza di Bonomi è stata notata ed io non so più come fare ad arginare il fiume di domande che mi pongono”.

“Va bene, a dopo amore. Anche tu mi manchi”. Seguì un frettoloso “Ciao” e la comunicazione si interruppe.

Riuscii a dormire poco più di un’ora prima di essere svegliato da mia madre che ebbe il buon gusto, almeno quello, di affacciarsi nella stanza con una tazza di caffé bollente. Bevvi il caffé ed iniziai a raccontare in ordine cronologico gli avvenimenti dell’ultima settimana, ovviamente omettendo la storia con Daniela e, per non impressionarla, il particolare riguardante la professoressa Dubois onde evitare di metterla in agitazione.

Mia madre ascoltò in silenzio, senza interrompermi, finché non giunsi al termine del mio racconto. “Questo è quello che è successo. Ti viene in mente qualche idea che possa aiutarmi a comprendere cosa potrebbe nascondersi dietro a questa storia, mamma?”.

Dopo alcuni istanti mi rispose: “La prima sensazione è che il servizio fotografico sia solo un espediente per coinvolgerti in qualcosa di diverso”.

A questa conclusione c’ero arrivato da solo, ma non glielo feci notare ed attesi che continuasse.

“E’ evidente che i simboli di cui mi hai parlato possono assumere, a seconda di come si vuole interpretarli, una doppia valenza, storica o esoterica. Ma, indipendentemente dalla visione che se ne può avere, da sempre un certo tipo di simbologia è stata utilizzata per indicare la Via”.

Ero incredulo, avevo fatto settecento chilometri per sentirmi dire una serie di ovvietà ma, forse, prima di trarre delle conclusioni, avrei dovuto attendere la fine del suo discorso.

“Sono in grado di parlarti delle Rune, della loro storia, ma temo di non poterti essere utile nel dipanare la matassa che mi hai presentato. Credo che gli elementi siano ancora troppo pochi. Ti trovi all’inizio di un percorso e non è possibile saltare le tappe per giungere immediatamente al fondo”.

Mi ritornò in mente la frase della professoressa Dubois: “Il viaggio è iniziato. Ora la strada devi trovarla da solo…”. Guardai l’orologio, erano circa le diciotto. Avevo ancora tempo per fare quattro chiacchiere con mia madre ma decisi che fare qualche passo per la capitale, prima di andare a cena, mi avrebbe fatto bene.

Mi preparai con la consueta rapidità e, in macchina, raggiunsi l’ospedale militare del Celio, posto alle spalle del Colosseo, a poche centinaia di metri dal ristorante dove mi sarei ritrovato con gli amici per la cena. La luce della sera, ormai imminente, illuminava le antiche rovine romane conferendo loro un fascino misterioso. Rimpiansi di non aver portato con me la macchina fotografica. Passeggiai lungo via dei Fori Imperiali, percorrendola più volte, scivolando in ricordi ormai lontani.

Alle venti e trenta in punto ero in via San Giovanni in Laterano, di fronte al ristorante dove avrei cenato. Dopo alcuni istanti arrivarono in ordine sparso i miei tre amici. Entrammo nel piccolo locale e prendemmo posto ad un tavolo laterale che offriva una splendida vista sulla cucina attraverso cui si potevano intravedere i cuochi all’opera.

Sulla prima portata la scelta fu diversificata, si passò dalla zuppa di cipolle ad un soufflè di formaggio, mentre sul secondo ci fu l’unanimità nei confronti della Tartare.

Ordinate le pietanze si aprì l’immancabile dibattito sul vino che, come sempre, rischiava di concludersi dopo l’arrivo dei primi. Data la stanchezza non mi impegnai particolarmente. Considerando che eravamo in quattro, e tutti amanti del buon vino, optammo per due bottiglie da gustare in rigorosa sequenza, un Langhe Nebbiolo 2004 dei Poderi Einaudi e quindi un Barbera d’Alba Vigna Martina di Elio Grasso.

La conversazione si avvio sul tema delle ormai prossime vacanze estive interrompendosi solo per assistere alla preparazione della Tartare.

La Tartare venne preparata su di un carrello posto al fianco del nostro tavolo. Era un piacere osservare i movimenti misurati effettuati dallo Chef per unire la carne cruda, le uova e le salse fino ad ottenere un perfetto amalgama tra i vari ingredienti. Un vero e proprio rituale.

Continuando a discutere di luoghi interessanti, improbabili mete di futuri viaggi almeno per quanto mi riguardava, arrivammo al dolce, portata quest’ultima che saltai sentendo aumentare, con il trascorrere del tempo, la stanchezza.

Subito dopo aver bevuto una buona grappa comunicai che le mie forze stavano cedendo ed invitai i miei amici a lasciare il locale, avevo la necessità di dormire. Ci salutammo poco dopo.

Rientrato a casa mi stesi sul letto, pensai che avrei dovuto chiamare Daniela, ma vista l’ora tarda optai per un sms e  mi addormentai.