Roma...

 

Iniziai a percorrere corso Unione Sovietica in direzione di Stupinigi. La città dava l’impressione di essere stata evacuata in attesa di un qualche cataclisma annunciato.

Gettai uno sguardo all’orologio posto sul cruscotto, segnava le quattro e quaranta. Feci un breve calcolo mentale, sarei giunto a Roma tra le undici e mezzogiorno. In tempo utile per fare una doccia e consumare il pranzo.

Inserii il navigatore, non perché non conoscessi la strada, ma semplicemente perché mi dava la sensazione di viaggiare in compagnia. Quella voce femminile che ogni tanto pronunciava frasi del tipo “…girare a sinistra fra trecento metri…” era diventata nel tempo una compagna di viaggio.

Accesi l’impianto stereo e scelsi un cd su cui avevo masterizzato, in formato mp3, alcuni dischi di jazzisti italiani come Bollani, Rava, Fresu ed Einaudi. Forse non era la musica più adatta per rimanere sveglio e vigile ma decisi che sarebbe stata un’ottima colonna sonora per il viaggio che stavo compiendo.

Una volta entrato in autostrada, il GPS smise di chiacchierare. L’avrei risentito fra circa settanta chilometri, quando mi avrebbe fatto notare che dovevo tenermi sulla destra per imboccare lo svincolo verso Genova.

Pensai che, con un poco di fortuna, sarei giunto in prossimità di Genova in anticipo rispetto all’ora di punta, riuscendo così ad evitare il traffico generato da chi verso le sette sarebbe uscito di casa per recarsi al lavoro e, magari, avrei potuto fotografare l’alba sul mare… sarebbe stato un evento unico, considerando che, notoriamente, il sole sorge ad oriente ed io mi trovavo ad occidente!

Cercavo di concentrarmi sulla guida, sia per evitare che giungesse la stanchezza, sia perché non avevo intenzione di pensare agli eventi degli ultimi giorni. Intanto l’impianto stereo, programmato per eseguire i brani in ordine casuale, riempiva l’abitacolo delle note emesse dalla tromba di Rava, di quelle che uscivano dal pianoforte di Bollani e, ancora, dalla tromba di Fresu, in un alternarsi gradevole di stili.

Intorno alle nove, superata Viareggio, composi il numero di telefono di mia madre con lo scopo di avvisarla del mio prossimo arrivo. Il suo telefono risultò stranamente libero e, dopo qualche squillo, sentii la sua voce. Iniziò con un: “Renato! Ma sei caduto dal letto per chiamarmi a quest’ora!”.

Mi domandai perché non potesse esordire con frasi più comuni come ad esempio un semplice: “Ciao, come stai?”. Ma non le posi la domanda e mi limitai a rispondere: “Si, più o meno. Verso mezzogiorno dovrei essere da te. Non preoccuparti per il pranzo, va bene quello che c’è”.

“Stai venendo a Roma? Cos’è successo?”.  Entrambe le domande erano ovvie, ma non avevo intenzione di passare il resto del viaggio al telefono per raccontarle la strana situazione in cui, mio malgrado, mi ero ritrovato. Avevamo tutto il pomeriggio a disposizione. Così buttai lì la prima cosa che mi venne in mente: “Ho finito il bagnoschiuma e ho bisogno di fare una doccia”.

“Ma come ho fatto a fare un figlio così scemo?”. Ovviamente non si aspettava una risposta. “Verso che ora pensi di arrivare?”. Le dissi che per mezzogiorno sarei stato lì, la salutai e chiusi la conversazione.

Pochi minuti dopo il navigatore, con voce suadente, mi fece presente che dovevo uscire dall’autostrada per prendere il raccordo verso Firenze. La sua era una fissazione, non avevo alcuna intenzione di passare da Firenze. Da anni per recarmi a Roma percorrevo l’Aurelia e non avevo la benché minima voglia di cambiare strada.

Continuò, come di rito, a ripetermi le indicazioni nel tentativo di indurmi ad uscire dall’autostrada ad ogni svincolo. Fortunatamente non era programmato per insultarmi e così, una volta superata Livorno, si convinse e riprogrammò la rotta lungo la statale Aurelia.

Concluso il dibattito unilaterale con il GPS, attivai l’auricolare BlueTooth e cominciai a chiamare alcuni amici. Avevo voglia di fare quattro chiacchiere, rilassandomi in loro compagnia, possibilmente davanti ad una tartare e ad un’ottima bottiglia di vino. Organizzata la cena, decisi di fermarmi in una stazione di servizio per prendere un caffé e nel contempo espletare alcune funzioni fisiologiche.

Come previsto dalla mia compagna di viaggio, il mio fedele navigatore, alle undici e trentotto in punto parcheggiai sotto casa di mia madre. Presi i bagagli dal baule dell’automobile e, dopo avere citofonato, mi preparai psicologicamente all’inevitabile interrogatorio cui mi avrebbe sottoposto la mia genitrice.

Appena aperta la porta, mi guardò, squadrandomi, e pose la prima domanda: “Ma quanto ti fermi?”. Mi resi conto che la massa di bagagli poggiati sul pianerottolo, zaino con attrezzatura fotografica, borsa con portatile e borsone con i ricambi, potevano far sorgere il sospetto che fosse mia intenzione sostare per un lungo periodo. “Stai tranquilla, riparto domani dopo pranzo”. Mercoledì c’era l’appuntamento con Valerio e non avevo intenzione di rinunciarvi.

Mentre rispondevo a mia madre, squillò il mio cellulare, visualizzandomi il nome di Daniela. Risposi immediatamente: “Ciao, Dani”. Al contrario della mia, la sua voce appariva fresca e riposata. “Ciao. Stai ancora dormendo? Hai la voce assonnata”. Già, probabilmente cominciavo a sentire la stanchezza. “Sono un po’ stanco in effetti. Sono appena arrivato a Roma dopo aver guidato per buona parte della notte”.

“A Roma? Tu non hai tutte le rotelle al posto giusto”. Daniela con molta probabilità, anche senza saperlo, condivideva con mia madre un opinione molto simile su di me. “Dani, possiamo sentirci tra un’ora? Sono appena arrivato e sono ancora fermo sul pianerottolo. Faccio una doccia, mangio qualcosa e ti richiamo”. Dissimulando l’aria contrariata rispose con un “Si, d’accordo. A dopo”. E senza darmi il tempo di rispondere interruppe la comunicazione.

Finalmente riuscii ad entrare in casa e ad appoggiare i miei bagagli nella stessa stanza in cui avrei passato la prossima notte, incalzato dalle domande di mia madre. Fortunatamente riuscii ad imporre il programma della giornata: doccia, pranzo e due ore di sonno, poi avrei discusso con mia madre e quindi verso le venti sarei uscito per raggiungere il Charly’s Saucière, il delizioso ristorante francese dove avrei incontrato alcuni amici.

Mia madre mi inseguì fin sulla soglia del bagno, prima di chiudere la porta le dissi: “Daniela è solo un’amica”. Mi guardò ponendo una domanda scontata: “E Claudia?”. “Credo solo una ex-amica”. Chiusi la porta senza aggiungere altro e dopo pochi istanti feci scorrere l’acqua della doccia sul mio corpo stanco.