Strane storie...

Diedi a Valerio le indicazioni per raggiungere piazza Solferino, dove avremmo preso l’aperitivo in attesa dell’ora di cena.

Mentre percorrevamo le strade di Torino, cominciai a pormi una serie di domande. Chi erano i due individui che seguivano Valerio? Perché lo stavano pedinando? Come mai era passato in redazione e, soprattutto, cosa aveva consegnato a Daniela?

La sola cena non sarebbe stata abbastanza lunga per soddisfare queste domande e tutte quelle che già da tempo attendevamo delle risposte.

Subito dopo esserci seduti al caffè, e aver ordinato due “analcolici della casa”, posi la prima domanda a Valerio: “Secondo te, chi erano i due tizi che ti stavano pedinando?”.

“Onestamente non ne ho la più pallida idea! Ma adesso preferirei rilassarmi. Non potremmo rinviare l’interrogatorio alla cena?”.

Ancora una volta Valerio stava cercando di prendere tempo. Questo fatto alimentava in me la convinzione che, “occhi trasparenti”, sapesse più di quello che mostrava ma acconsentii alla sua richiesta di procrastinare.

Gustammo serenamente l’aperitivo e l’enorme varietà di stuzzichini che accompagnavano l’analcolico della casa. Discutemmo sul clima mite con cui aveva avuto inizio l’estate.

Intorno alle venti suggerii di chiedere il conto e, conseguentemente, di muoverci per raggiungere il locale in cui avevo intenzione di cenare. Considerando il fatto che Valerio avrebbe pagato la cena, insistetti per essere io a pagare il conto della consumazione: VENTI EURO!

Raggiungemmo la macchina parcheggiata a pochi isolati dal caffè in cui avevamo appena sostato e, pochi istanti dopo, fornivo a Valerio le informazioni stradali per raggiungere via Valperga Caluso. Il ristorante che avevo in mente per la nostra cena si trovava lì nei pressi.

Da piazza Solferino, alla nostra meta, impiegammo pochi minuti che percorsi in silenzio sembravano moltiplicarsi in un’eternità. Entrambi eravamo tesi. Io perché esigevo delle risposte, lui perché sapeva che non sarebbe stato facile sottrarsi alle mie domande.

Giunti vicino al locale indicai a Valerio che era quello il posto. Iniziò una semplice manovra per il parcheggio. In quel preciso istante cambiai idea. “Continua dritto e poi svolta alla prima via a sinistra!”.

Pronunciai la frase con un tono che non ammetteva repliche.

Pochi istanti dopo imboccammo via Belfiore, dissi a Valerio di parcheggiare dove voleva, nel frattempo iniziai a fissarlo in volto studiando tutte le sue più piccole reazioni.

Lasciò l’auto a pochi metri dal portone del palazzo dove dimorava Daniela. Dal punto in cui ci trovavamo mi era possibile vedere le finestre della casa. Da una di queste, che immaginai essere quella della cucina, filtrava una flebile luce.

Dissi: “La signorina Daniela abita proprio qui!”

Valerio interruppe il suo silenzio. “Perché siamo arrivati sotto casa della signorina Daniela? Non era necessario, se volevi sapere qualcosa bastava chiederlo! Oggi in redazione mi sono limitato a portare alcuni fogli dattiloscritti. E’ un editoriale scritto da Carlo, suppongo lo pubblicheranno domani. Comunque io sono…, si può dire che io non sia attratto dalle donne!”.

La frase di Valerio mi giunse come uno schiaffo dato a mano aperta. Aveva ragione, stavo diventando geloso.

Spalancai lo sportello della Micra e lo guardai negli occhi: “Interessante Valerio, ma ho intenzione di cenare lì!”, ed indicai l’entrata del locale posto sull’angolo fra la via in cui ci trovavamo e via Morgari. “Vedrai che mangeremo bene”.

Scesi dall’automobile rivolgendo un mezzo sorriso al mio ospite.

Entrammo nel locale e, subito dopo aver ricambiato i saluti, come sempre cordiali, dei due deliziosi proprietari, prendemmo posto ad un tavolo piuttosto appartato con il preciso scopo di non essere disturbati dalle chiacchiere degli avventori già presenti all’interno del locale.

Ordinammo la cena. Zuppa di cipolle di Pancalieri, salsicce con patate ed una bottiglia di ‘Tre vescovi’, un barbera dei viticoltori associati di Vinchio e Vaglio.

Subito dopo chiesi scusa a Valerio. Mi allontanai dal tavolo e, una volta uscito dal locale, telefonai a Dani.

Rimasi in attesa pochi istanti prima di sentire il “Ciao” pronunciato da Daniela.

Iniziai la conversazione sfoderando un “Ciao dolce, come stai?”.

“Stanchissima. Giornata intensa ma sono un po’ più tranquilla. Oggi…”. Non le diedi il tempo di completare la frase: “Si, lo so. Valerio mi ha detto dell’editoriale di Bonomi. Sono curioso di leggerlo. Domani per la prima volta acquisterò il vostro giornale”.

Immaginai che Daniela stesse sorridendo: “Fai bene, anche perché l’editoriale sarà illustrato da una fotografia scattata da te. Avrai l’onore della prima pagina, Reporter, oltre a tremila euro di onorario che potrai ritirare passando in amministrazione!”.

Miss “Tailleur” sembrava divertita. “Finalmente una buona notizia. Siamo a cena qui all’angolo sotto casa tua. Potremmo passare da te, dopo cena, per prendere il caffè se vuoi…”.

Rimasi deluso dalla risposta, ma in fondo il suo rifiuto era comprensibile. “Tesoro, sono stanchissima. Se ci vedessimo domani sera come d’accordo?”.

“Si, capisco. E’ che mi manchi piccola. Ti chiamo dopo. Ora ritorno al tavolo ed inizio a chiacchierare con Valerio. Ciao”.

Chiusa la comunicazione riposi il cellulare nella tasca dei jeans e ritornai velocemente al tavolo, giusto in tempo per onorare la zuppa appena giunta.

Assaporati i primi cucchiai della deliziosa minestra, posi una prima domanda, cercando di portare la conversazione su un piano di cordialità: “ Ma la famiglia di Bonomi non è preoccupata per la presunta scomparsa di Carlo?”.

Valerio posò il cucchiaio a lato del piatto e, guardandomi negli occhi, si accinse a fornirmi la prima risposta: “Carlo non si è mai sposato. Per quanto riguarda i genitori, li perse in un incidente automobilistico quando aveva all’incirca ventanni. In sintesi, non c’è una famiglia che si preoccupi”.

Riprese a mangiare lasciandomi il tempo di metabolizzare la sua risposta.

Terminammo la zuppa di cipolle osservando lo stesso silenzio che di solito si attribuisce ai pasti effettuati in refettorio dai frati.

Solo dopo che i piatti, ormai vuoti, furono rimossi dal tavolo, mentre versavo il vino, posi la mia seconda domanda:  “Posso sapere come vi siete conosciuti tu e Carlo?”.

Il viso di Valerio fu percorso da una strana smorfia. Avevo toccato, senza volerlo, un argomento delicato.

“Quando  conobbi Carlo avevo quindici anni. Mia madre fu trovata priva di vita dopo tre lunghissimi giorni di ricerche. Era in un vecchio pozzo ormai in disuso. Un incidente stando alle conclusioni dell’indagine del magistrato”.

Valerio bevve il bicchiere di vino, che gli avevo appena riempito, tutto di un fiato e quindi continuò: “Bonomi all’epoca lavorava come cronista per un piccolo quotidiano ligure. Si trovava a Triora per fare la cronaca dell’accaduto. E’ lì che ci siamo conosciuti. Pochi mesi dopo quel tragico avvenimento, Carlo riuscì attraverso alcune sue conoscenze, ad ottenere l’affidamento del giovane Valerio”.

Gli riempii nuovamente il bicchiere e con aria smarrita domandai: “E tuo padre?”.

“Non l’ho mai conosciuto!”.

A questo punto fui io a trangugiare il mio bicchiere di vino. Non ero preparato alle risposte che avevo appena ricevuto. Mi voltai verso il bancone per richiamare l’attenzione di un cameriere con lo scopo di chiedere una seconda bottiglia di vino e, solo in quel momento, vidi i due uomini che avevamo seminato nel pomeriggio.

Comodamente seduti al bancone posto all’ingresso del locale, ci osservavano attentamente mentre sorseggiavano due birre gelate.

Posai il bicchiere di Barbera sul tavolo e feci un cenno con la testa a Valerio: “Abbiamo visite, socio! I due bravi di oggi sono seduti al bancone”.

Valerio sbiancò in volto e con aria nervosa chiese: “Cosa facciamo ora?”.

“Ordiniamo un’altra bottiglia di vino e chiediamo un terzo bicchiere”.

Il più anziano dei due uomini si era alzato in piedi e con passo lento puntava verso il nostro tavolo. Presi la pistola, che uscendo dall’auto avevo nuovamente infilato dietro la schiena, e la posai sul tavolo cercando di nasconderla sotto il tovagliolo.