Valerio

Il mercoledì mattina, al risveglio, mi sentivo fresco e riposato. Alle otto ero già in piedi in attesa che la macchina del caffé si scaldasse quel tanto da consentire la produzione di un caffé decoroso.

Con Valerio non avevamo ancora fissato né il luogo né tanto meno l’ora dell’incontro, lo avrei chiamato più tardi.

Guardai la busta consegnatami la sera prima da Daniela. Era ancora poggiata sul tavolo, la presi in mano con l’idea di aprirla, ma la posai nuovamente nello stesso posto. Avevo voglia di uscire, di girare un poco per la città alla ricerca di qualche possibile scatto fotografico.

Subito dopo aver preso il caffé, telefonai a Daniela: “Ciao dolce, sei già in redazione?”.  La risposta si fece attendere qualche istante: “Tutto bene? Sono le otto e trenta e sei già sveglio? C’è qualche problema nuovo?”.

“No, assolutamente. Mi sento in gran forma e ho voglia di andare un poco in giro. Devono essere gli effetti benefici dell’aria di Roma. Tu cosa fai a pranzo, Dani?”.

“Temo che non lo farò. Qui stanno saltando tutti gli appuntamenti di Bonomi e nessuno prende una benché minima decisione su come organizzarsi. Alle tredici c’è una riunione del comitato di redazione a cui sono invitata anch’io”.

“Stai facendo carriera tesoro! Spero solo che non ti dimenticherai di me”. Daniela non doveva essere in vena di scherzare: “Non dire sciocchezze. Ci sentiamo in serata. Ciao”.

Non mi restava che fare una doccia, sentire Valerio per fissare il nostro appuntamento e quindi uscire a fare due passi portandomi dietro la Nikon.

Terminate le abluzioni del mattino, chiamai il cameriere. Fu una conversazione molto breve. Ci limitammo a concordare il nostro incontro: alle diciotto di fronte alle Galleria d’Arte Moderna, in corso Galileo Ferraris.

Dopo essermi vestito decisi che non valeva la pena di portare lo zaino con tutta l’attrezzatura fotografica. Così misi in una borsa il corpo macchina e due obbiettivi: il 70-300 ed il 10-20. Sarebbero stati in grado di coprire una buona parte delle possibili inquadrature, con il vantaggio, non trascurabile, che avrei passeggiato senza portami dietro svariati chili di materiale.

Uscito da casa mi diressi verso il Valentino,  percorrendo a piedi corso Vittorio Emanuele II. Da lì avrei potuto passeggiare lungo il Po in direzione dei Murazzi e quindi rientrare verso casa passando dal centro.

Decisi che avrei mangiato qualcosa in un qualche bar del centro, l’estate ormai imminente consentiva di pasteggiare all’aperto, cosa che trovavo piuttosto piacevole.

La passeggiata fu gradevole, anche se la temperatura ormai piuttosto elevata mi provocava una fastidiosa sudorazione. Scattai alcune foto a dei portoni lungo corso Vittorio, ad alcuni lucernai e ai tavolini multicolore posti lungo la riva del fiume, all’altezza di quelli che a Torino vengono chiamati i “Muri”.

Intorno alle dodici, presi posto in un bar storico sotto i portici di via Po. Scelsi alcune verdure grigliate e dell’insalata di riso dal buffet posto all’ingresso ed ordinai un bicchiere di Nebbiolo per accompagnare il pasto.

Durante il pranzo trovai interessante osservare i volti della gente che camminava frettolosamente. Alcuni visi erano particolarmente espressivi. Dietro a quelle espressioni si potevano immaginare le storie di una variegata umanità.

Terminai il pranzo con un caffé e, dopo aver fumato una delle mie Pall Mall, ripresi la strada di casa. Avrei riposato un poco prima di uscire per incontrare Valerio.

Arrivato a casa, dopo essermi spogliato, puntai la sveglia del cellulare sulle diciassette e quindici. Per raggiungere a piedi il luogo dell’appuntamento non avrei impiegato più di cinque minuti. Avevo quindi il tempo necessario per prepararmi ed uscire.

Presi sonno rapidamente, la passeggiata mi aveva leggermente stancato e profondamente rilassato.

Alle diciassette il telefonino cominciò a suonare, convinto che fosse la sveglia, senza guardare, premetti il tasto di chiusura della comunicazione ma, dopo pochi istanti, squillò nuovamente. Istintivamente lanciai un’occhiata alla sveglia posta sul comodino dal lato di Claudia: segnava le diciassette e due minuti.

Presi il cellulare che continuava a strepitare insistentemente e lessi sul display il nome di Valerio.

Non feci in tempo a rispondere che la voce dall’altra parte, con tono agitato, iniziò a parlare: “Pronto. Sono Valerio. Sono da poco uscito dalla redazione e sto andando verso corso Galileo Ferraris. Ma c’è una macchina, con a bordo due individui, che mi segue!”.

“Sei passato in redazione?”. La domanda mi uscì spontanea.

“Si, dovevo consegnare una cosa alla signorina Daniela. Ma di questo possiamo parlare dopo. Adesso cosa faccio? Sono preoccupato”.

Proprio oggi, che ero così tranquillo, avrei dovuto indossare nuovamente i panni del detective. Ripassai mentalmente le immagini di una serie di telefilm a caccia di idee. “Rimani tranquillo. Gira un po’ per Torino senza allontanarti troppo dalla zona. Mi vesto, esco e ti mando un SMS con l’indirizzo dove passare a prendermi”.

Il cameriere assentì e chiuse la comunicazione. Indossai rapidamente i jeans ed una magliettina a maniche corte. Presi la pistola, controllai che fosse carica e la misi fra la cintura dei pantaloni e la schiena. Mi buttai addosso un giubbotto, anch’esso di jeans, ed uscii di casa alla velocità della luce.

Usando l’automobile raggiunsi via Nizza e, dopo aver parcheggiato in una via laterale, iniziai a cercare un portone nel quale entrare. Fui fortunato, all’incirca all’altezza di via Valperga Caluso ne trovai uno accostato. Entrai e richiusi i battenti.

L’idea di simulare che Valerio venisse a prendermi a casa mia, iniziando a fornire un primo falso indizio ai due “segugi”, non mi sembrava male. Inviai come d’accordo il messaggino fornendo l’indirizzo e dicendo di chiamarmi non appena si fosse trovato davanti al civico indicato.

Attesi circa dieci minuti prima di udire lo squillo del cellulare: “Sono proprio qui davanti”. Dal tono di voce di Valerio si poteva intuire il suo stato di agitazione. Risposi con calma: “Bene, scendo subito!”. Aspettai qualche istante prima di uscire dal portone.

Raggiunsi la Micra del cameriere e mi accomodai sul sedile del passeggero. La pistola posta dietro la schiena era piuttosto fastidiosa. La presi e la posai sotto il sedile. Valerio mi guardava perplesso. “Si, è finta. Ma con te ha funzionato, se non ricordo male”.

Accennò ad un sorriso e chiese: “ Ora come facciamo a seminarli?”.

Per il momento non avevo alcuna intenzione di “seminarli”. In pochi istanti avevo elaborato un piano che con un pizzico di fortuna poteva funzionare. Al contrario di Valerio, trovavo eccitante quella insolita situazione.

“Arriva in via Cigna. E fai in modo che non ci perdano di vista. Quindi guida con calma. Se non capiscono che ci siamo accorti di loro è molto meglio. quali sono i tuoi amici?”.

Sembrava non capire, ma senza voltarsi rispose: “E’ la 159 nera accostata una ventina di metri dietro di noi”. Abbassai l’aletta parasole ed osservai, attraverso lo specchietto di cortesia, l’auto descrittami. “Gran bella macchina! Pensi di muoverti o preferisci chiamare un taxi?”. Valerio mise in moto e partì in direzione di Porta Susa.

Percorsa via Cigna, poco dopo aver superato il ponte sulla Dora gli dissi di girare a sinistra e quindi di tornare verso il fiume. Gli indicai una palazzina con un ampio cortile: “Ora gli passiamo davanti e cerchiamo un parcheggio sperando di non trovarlo. Quindi cerchiamo un posto su una delle laterali, ma che non sia troppo vicino, mi raccomando”.

Valerio continuava a guardarmi sempre più perplesso senza proferire verbo, ma ancora una volta eseguì i miei ordini. Solo dopo aver parcheggiato, mi chiese: “Qual è la prossima mossa, tenente?”.

Magari se il mio piano funzionava sarei stato promosso a capitano. “Adesso scendiamo con molta calma, dando il tempo ai tuoi "amici" di parcheggiare. Se siamo fortunati ci seguiranno a piedi e spero lo facciano entrambi”.

Nel frattempo la 159 ci superò e posteggiò una trentina di metri più avanti. “Bene, socio, andiamo!”. Scesi dall’automobile ed aspettai Valerio. Ci dirigemmo con naturalezza, come se non stesse succedendo nulla, verso l’ingresso della palazzina.

Giunti davanti all’ingresso mi accertai che i due pedinatori ci stessero seguendo. Fortunatamente c’erano tutti e due.

Suonai contemporaneamente due campanelli del citofono. La risposta non si fece attendere: “Chi è?”. A pronunciare quelle parole fu una voce femminile. “Fioraio signora. Mi apre per favore?”. La serratura del portoncino scattò e la voce femminile aggiunse: “Seconda scala a destra, terzo piano”. Pensai che un giorno dei fiori avrei dovuto mandarglieli davvero. 

Superammo il portone, che richiusi con calma, feci cenno a Valerio di seguirmi. Raggiungemmo l’ultima scala sulla destra e sperando di non essere notati, la aggirammo trovandoci sul retro dell’edificio.

“Ora non ci resta che scavalcare la recinzione e raggiungere l’auto. I tuoi “amici” aspetteranno un po’ prima di capire quello che è successo. Ed io ho in mente di fargli anche un altro regalo”.

Ero felice come un bambino. Stava funzionando tutto a meraviglia. Valerio sembrava più rilassato: “Devono averti seguito spesso. Non mi dirai che hai ideato tutto questo in pochi minuti?”.

“Ti confesserò socio…”. Feci una breve pausa. “… che devo aver letto qualcosa di simile in un romanzo poliziesco".

Si limitò a sorridere strizzando quei suoi occhi azzurro trasparente. Giunti alla Micra gli chiesi: “Non è che per caso hai degli stracci?”.

“Stracci?”.

“Si, quelli che si usano per pulire il vetro!”.

“Credo di averne un paio nel bagagliaio, ma a cosa ti servono?”.

“Solo un regalo per i tuoi “amici”. Prendimi anche un cacciavite o qualcosa di simile e poi aspettami in macchina”.

Una volta ricevuto quel che gli avevo chiesto, raggiunsi la 159 e con rapidità infilai gli stracci nel tubo di scappamento, spingendoli con il cacciavite. Per il ritorno avrebbero dovuto chiamare un taxi.

Appena fui risalito in auto, Valerio mise in moto e ripartì.

“Bene, socio. Ora possiamo andare a prendere un aperitivo e poi cercare un posto dove cenare. Ovviamente offri tu!”.

Valerio scoppiò a ridere e si limitò ad un: “D’accordo, socio!”.