Il Castoro Gino 

 

 In una radura, al limitare di un bosco di larici dalle foglie verdi e tenere, attraversata da un tranquillo ruscello, viveva Castoro Gino.

 

Nella zona circostante la radura crescevano felci, piantine di mirtilli e profumate fragoline. Castoro Gino usciva dalla sua tana ogni mattina, all’alba, per raccogliere i deliziosi frutti.

 

Quando ancora gli abitanti del bosco dormivano, Castoro Gino apriva la porta della sua tana, girando con attenzione il chiavistello per non fare rumore, prendeva il vecchio cestino di vimini appartenuto a sua nonna e usciva, annusando l’aria ancora frizzante e umida del mattino.

 

Scostava le felci e i rovi che si sporgevano sul sentiero e si recava, fischiettando, verso i pendii più nascosti che abbondavano di frutti. Li raccoglieva velocemente e li sistemava nel paniere, scegliendo solo i più maturi e profumati.

 

Quando il sole faceva capolino e riscaldava il nasino di Castoro Gino, era giunta l’ora di tornare alla tana, così il giovane castoro ripercorreva il sentiero con il suo cestino colmo.

 

Appena rientrato ne svuotava il contenuto in un grosso pentolone che usava solo per fare la marmellata. Aggiungeva qualche foglia di limonaria, alcune noci e un po’ di miele, poi accendeva il fuoco e cominciava a rimestare. Già dopo qualche minuto tutto  intorno si spandeva un invitante profumo di frutta candita e se la finestra era solo socchiusa, usciva e inondava il bosco di un aroma zuccherino riconosciuto da tutti.

 

La dispensa di Castoro Gino era piena di barattoli della deliziosa confettura, tutti allineati sulle mensole, in bella vista.  Spesso Castoro Gino si soffermava davanti alla madia e rifletteva tra sé e sé: “Se venisse a trovarmi Gufo gli offrirei la marmellata di mirtilli, sarebbe ottima per la sua vista!” E se venisse Marmotta, beh, per lei ci sarebbe quella di more, molto zuccherina e adatta a trascorrere il lungo inverno. Ai cuccioli del bosco offrirei  quella di fragole, assolutamente irresistibile!”. E mentre questi pensieri occupavano la sua mente, una lacrima solcava il musetto. Castoro Gino era conosciuto da tutti nel bosco, ma nessuno veniva mai a fargli visita, nessuno mai bussava alla sua porta!

 

Allora Castoro Gino si affacciava alla finestra della sua tana ed osservava: Gufo, che dall’alto di un ramo, roteava la testa e controllava ogni movimento, ma mai lo degnava di uno sguardo; Volpe, che con la sua grande e splendida coda si pavoneggiava sul sentiero principale del bosco come se fosse una regina; Tasso, che con il suo musetto all’insù lo adocchiava con fare scherzoso.

 

Tutti passavano dinnanzi alla sua finestra, ma nessuno lo degnava di uno sguardo, se non per comunicargli la propria indifferenza. E sapete perché? Perché Castoro Gino aveva una strana coda, larga e piatta, così piatta da sembrare una grossa padella!

 

Della sua coda si parlava molto, anzi era usata come termine di paragone. Si diceva: “Raggiungi la pozzanghera a forma di coda e poi gira a destra;oppure, salta la pietra della coda e poi sei arrivato; o ancora, raccogli il pezzo di legno a coda e portalo alla legnaia…” E tutto ciò al posto di usare le parole “larga e piatto”.

 

Solo i vari cuccioli del bosco si fermavano ogni tanto a chiacchierare con lui, per loro, quella grossa coda era solo una novità e poi, perché i castori avrebbero dovuto, per forza, avere delle code tutte uguali?

 

Loro, i piccoli castori, spesso nascosti tra i cespugli, osservavano i boscaioli, uomini grossi e robusti. Avevano sì tutti quattro zampe, due lunghe e due corte, ma ad esempio, il colore dei loro occhi, lunghezza e l’aspetto dei loro capelli era diverso, ma sembravano non preoccuparsene. Infatti, almeno da lontano, pareva andassero d’accordo: parlavano, ridevano e scherzavano, oltre ad aiutarsi nel trasportare a valle i grossi tronchi.  Castoro Gino passava molto tempo ad osservare la sua coda larga e piatta come una padella, ma non la trovava poi così strana, diversa da quella degli altri castori sì, ma tanto strana no!

 

In effetti a lui quella coda serviva tantissimo: la utilizzava per raccogliere più velocemente e senza ammaccarli i deliziosi frutti del bosco, per scostare le fronde quando passeggiava sui sentieri intricati, o ancora, quando andava a pescare, la usava come pinna per smuovere l’acqua alla ricerca di qualche buon grasso pesce.  Perciò quella sua coda così particolare non gli era di nessun impiccio, se non fosse stato per gli altri che non lo consideravano uno di loro. 

 

Nel bosco le giornate trascorrevano tranquille, ognuno occupato nel proprio mestiere.

 

I grossi castori, gli anziani del bosco, si aggiravano lungo i pendii per scegliere con cura gli alberi da abbattere. Poi i giovani castori, con i loro denti lunghi e forti, arrivavano in gruppo e con grande determinazione si sistemavano intorno al tronco designato e cominciavano a rosicchiare, finché il grande albero non veniva abbattuto.

 

Era poi trasportata al villaggio dove era tagliato a pezzi e distribuito a chi ne aveva bisogno, per accendere il fuoco o per ripararsi la tana.

 

Castoro Gino restava ad osservare tutte le operazioni e avrebbe dato qualsiasi cosa per potervi partecipare, ma ogni volta che tentava di avvicinarsi al gruppo, veniva allontanato. “Vai via, non vedi, con quella coda non riesci neanche a muoverti!” oppure “Ti pesa così tanto che cascheresti all’indietro!” o ancora “Vai a farti un giro e torna domani!”

 

Come sempre Castoro Gino tornava alla sua tana senza neanche guardare il sentiero perché i suoi occhi erano pieni di lacrime.

 

Una mattina però, al ritorno dalla consueta passeggiata nel bosco alla ricerca dei deliziosi frutti, Castoro Gino si accorse che nel villaggio c’era una strana atmosfera.  Tutti i vecchi castori erano seduti in cerchio e discutevano animatamente e con fare preoccupato, mentre i giovani castori seduti dietro agli anziani, ascoltavano con infinita attenzione.

 

Castoro Gino aveva capito che qualcosa di importante stava per accadere, ma a lui non era concesso avvicinarsi al Gran Consiglio.  In effetti da alcuni giorni i boscaioli giungevano al fiume con maggior frequenza e uno di loro parlando a voce alta disse: “La diga, a monte,non durerà a lungo, la crepa si allarga sempre più e non ci si può immergere in quelle acque profonde e gelide per andare a ripararla! Portiamo via tutto il legname che ci è possibile e poi abbandoniamo questo posto!”

 

Era ovvio che se nella diga si fosse aperta una breccia sempre più grossa, un’enorme quantità d’acqua sarebbe scesa a valle, spazzando via tutto, anche il villaggio di Castoro Gino.

 

Il tenero castoro tremò quando dalla sua finestra riuscì ad ascoltare la conversazione tra due giovani castori. Non poteva immaginare che il villaggio in cui era nato fosse travolto e distrutto in un attimo, come anche non poteva sopportare la perdita dei suoi compagni, anche se non era accolto come uno di loro; quello comunque era il suo mondo, la sua famiglia, la sua tana!

 

Così chiuse le finestre e la porta con un doppio giro di chiavistello e decise di andare a dare un’occhiata alla grossa diga. Partì di buon’ora, come era solito fare quando andava a raccogliere frutti, ma questa volta prese la direzione opposta e iniziò a percorrere un sentiero che si inerpicava su per la montagna. Camminò senza sosta finché il sole non fu alto nel cielo, poi si fermò un attimo per mangiare e per bere un sorso di acqua fresca. E fu così che riprese il cammino con maggior vigore. Verso mezzogiorno giunse alla diga: la riconobbe perché era una costruzione immensa e vista da lontano sembrava toccasse il cielo. Ai lati del grande muro due enormi bocche lasciavano uscire fiumi di acqua che, dopo un balzo formavano una cascata, e scendevano poi dolcemente verso valle. Non poteva essere quella la crepa, lì pareva tutto in ordine, sembrava che da tempo immemore tutto avesse funzionato così.  Occorreva avvicinarsi di più per capire…!  Castoro Gino salì sul muro della diga e con grande coraggio si tuffò nelle acque fredde. Esplorò l’interno del muro finché vide un buco che si allargava sempre più al passaggio dell’acqua  che scendeva impetuosa verso valle.

 

Castoro Gino riemerse in fretta, non riusciva quasi più a muovere le zampe tanto l’acqua era fredda!

 

Si sdraiò al sole per riscaldarsi un po’, e poiché tanta era stata la fatica, si addormentò.  Sognò di salvare il villaggio dall’imminente catastrofe, e di essere un grande eroe celebrato da tutti. Le sue marmellate andavano a ruba e venivano a cercarle anche dai villaggi vicini.

 

Quando riaprì gli occhi, in realtà non sapeva se fosse sveglio o se stesse ancora sognando, perché si trovò dinnanzi un enorme animale, dal vello candido come la neve, con gli zoccoli robusti e con un unico corno sulla fronte!  Castoro Gino cercò rapidamente nella sua mente se in qualche racconto avesse sentito parlare di un animale simile, ma non ricordò nulla. Si alzò e con la sua solita gentilezza si rivolse allo sconosciuto: “Salve, io sono Castoro Gino, abito in un villaggio più a valle, proprio sotto alla grande diga, e tu chi sei?” L’animale attese un attimo prima di rispondere e poi disse: “Vivo da solo su queste montagne, non ho amici né fratelli, e gli uomini mi danno la caccia da tempo immemore, solo perché non assomiglio a nessun altro animale che loro conoscono. Mi pare mi abbiano dato il nome di Unicorno. Ma tu piccolo castoro che cosa sei venuto a fare qui?”  Castoro Gino con molta cura spiegò tutto quanto: la coda, la solitudine, la decisione di salvare il suo villaggio dall’inondazione. L’Unicorno e il Castoro trascorsero alcuni giorni insieme, cosicché tra loro cominciò a nascere una solida amicizia. Insieme elaborarono un piano per chiudere la breccia. Il castoro avrebbe rosicchiato i tronchi degli alberi, l’Unicorno con la sua potenza, li avrebbe gettati nella diga, il Castoro di nuovo, aiutandosi con la sua larga e piatta coda li avrebbe spinti vicino alla breccia e sempre con la larga coda li avrebbe incastrati uno vicino all’altro, in modo da chiudere il buco. Il piano sembrava perfetto e così si misero al lavoro.

 

Le difficoltà da affrontare furono molte, ma il castoro e l’unicorno, lavorarono senza sosta: sembravano aver ritrovato la gioia di vivere, di stare insieme e di sentirsi importanti per qualcuno.

 

Dopo due giorni di strenuo lavoro, la crepa nella diga era ben chiusa e, anche se nessuno ancora lo sapeva, il villaggio era salvo!

 

Poi giunse il momento più triste: Castoro  Gino avrebbe dovuto tornare a valle per rassicurare i suoi amici e l’unicorno avrebbe dovuto ancora fuggire, perché una volta alla settimana un gruppo di uomini giungeva alla diga per i soliti controlli, e se lo avessero trovato lo avrebbero catturato.

 

Passarono la notte a discutere. Castoro Gino sognava un ingresso vittorioso al villaggio, con feste e danze per lo scampato pericolo, ma soprattutto sognava un’accoglienza sincera, dove nessuno avrebbe più fatto caso alla sua strana coda. L’Unicorno sognava di poter raggiungere il suo branco e di saltare sulle creste delle montagne senza la paura di essere catturato ed imprigionato!  Ogni volta che uno dei due cominciava a parlare non riusciva a finire la frase, la voce non usciva più, mentre le lacrime scendevano calde e abbondanti.  Il giorno seguente sarebbero arrivati gli uomini e non si poteva rimandare la partenza: così i due amici decisero di non tornare ai rispettivi luoghi di provenienza. Castoro Gino si sistemò sul dorso dell’Unicorno, di lassù vedeva il mondo con altri occhi: gli alberi erano più bassi, i ruscelli più profondi, le fragoline più piccole, la strada meno faticosa, L’Unicorno poteva brucare l’erba con tranquillità perché il giovane castoro, di lassù faceva la guardia. Attraversarono valli incantate, boschi fittissimi, guadarono fiumi e raggiunsero cime innevate. Nessuno dei due ebbe più paura di restare da solo, perché non si separarono mai.

 

Gli uomini addetti al controllo della diga non seppero spiegarsi quel lavoro così perfetto, così come gli abitanti del villaggio non seppero spiegarsi la partenza improvvisa di Castoro Gino.  Gli anziani castori, alla sera, erano soliti raccontare leggende ai piccoli castorini e, dopo qualche tempo, la più richiesta era sempre quella di Castoro Gino e della sua coda larga e piatta. Ogni piccolo del villaggio cercava, nascondendosi, dagli sguardi degli adulti, di appiattire e allargare la propria coda, ma senza risultati apprezzabili!  Non era ben chiaro il motivo, ma ora tutti avrebbero voluto possedere una coda come quella.