Il nodo di Micio Luca

 

In un piccolo paese di nome Sorano, viveva un gatto siamese. Pochi giorni dopo la sua nascita Maria, la piccola padroncina, consapevole che non avrebbe sempre potuto chiamarlo Micio, decise di scegliere un nome. Così senza grandi cerimonie, mentre lo accarezzava tenendolo sulle gambe, gli comunicò che da quel momento lo avrebbe chiamato Luca.

 

Quella che sto per raccontarvi è la storia di Micio Luca, al quale il destino aveva regalato una buffa coda, non si può dire brutta, ma buffa sì. Infatti, come a volte succede ai siamesi, aveva un nodo sulla coda, uno di quei nodi che non si possono sciogliere. Nessuno di voi, prima di leggere la storia di Micio Luca, saprebbe spiegare il perché di quel nodo.

 

Appena fu grande abbastanza, per varcare la soglia della casa dove viveva, Micio Luca esplorò il mondo, quel piccolo mondo che era il paesino dove era nato. Si trattava di un piccolo e vecchio paese medievale, costituito da case in tufo che si affacciavano su stradine strette. Molte di loro ancora avevano un aspetto fatiscente, e guardavano con aria trasognata la gente passare, nella speranza che qualcuno le scegliesse e ridesse loro l’aspetto e la dignità di una dimora abitata.

 

Mentre vagava per il paesino, Micio Luca vide un gruppetto di gatti che si crogiolava al sole, erano tutti più grandi di lui. Ma lui per niente intimorito, si avvicinò e salutò cortesemente. L’accoglienza all’inizio non fu calorosa, nessuno dei gatti rizzò il pelo, Solo uno di loro, un gatto magro e di colore nero, lo degnò di uno sguardo e di uno svogliato saluto. Il piccolo micio non si scoraggiò e cercò di attaccare discorso.

 

“Buongiorno signori, io mi chiamo Micio Luca. Oggi sembra essere una bellissima giornata!”. Nessuno dei gatti rispose e così Micio Luca, con aria un po’ triste girò le spalle al gruppo di gatti e cominciò ad allontanarsi. Aveva fatto pochi passi, quando sentì la voce del gatto nero, quello che lo aveva salutato svogliatamente, dire: “Ehi tu, che strana coda hai, cosa ti è successo?”. Micio Luca si fermò e si volse indietro e rispose: “Non saprei, la mia coda è così da quando sono nato”. Nel frattempo i gatti incuriositi si erano alzati e si erano avvicinati. Il gatto nero si accorse di non essersi presentato, anche se era un gatto randagio conosceva l’educazione, e disse: “Scusami, a volte sono così sbadato, io sono Nerino, e loro sono Roscio, Bianconero e Bianchetto”. Micio Luca rispose cortesemente: “Molto lieto signori!”. I quattro erano incuriositi dalla strana coda di Micio Luca e così cominciarono a fare delle supposizioni su quella coda. Nel bel mezzo del discorso, Roscio che era sempre stato zitto, con aria grave disse: “Si vede che non avete mai frequentato gli umani, siete solo degli sciocchi randagi”. Rimasero tutti stupiti da quell’affermazione, cosa avevano a che fare gli umani con la strana coda di Micio Luca? Il primo a parlare fu Bianchetto: “Che cosa vuoi dire Roscio?”. “Se aveste avuto una casa ed una padroncina, sapreste che gli umani, quando devono ricordarsi qualche cosa d’importante, fanno un nodo ad un fazzoletto. Quindi il nodo della coda di Micio Luca è lì per ricordargli qualcosa d’importante, ovvio!”. La spiegazione sembrò essere sensata, in fondo Roscio per un certo periodo aveva vissuto con gli umani e sapeva tante cose che i suoi amici non conoscevano.

 

Micio Luca, trovava la spiegazione interessante, ma aveva un dubbio. “Sì, penso sia come dici tu Roscio, anche Maria quando deve ricordare qualcosa d’importante fa un nodo al suo fazzoletto, ma io non ho idea di cosa devo ricordare”. La discussione andò avanti per un po’, ma ogni ipotesi su cosa Micio Luca dovesse ricordare, veniva scartata. Così passò un po’ di tempo. Il suono dell’orologio del paese ricordò a Micio Luca che doveva rientrare a casa, altrimenti Maria si sarebbe preoccupata. “Ciao Bianchetto, ciao Roscio, ciao Bianconero, ciao Nerino, ora devo andare, la mia padroncina sarà preoccupata non vedendomi tornare. A presto!”. I quattro gatti salutarono e Micio Luca si avviò con passo rapido verso casa.

 

Nei giorni successivi, Micio Luca ritornò spesso a trovare i suoi amici. Passavano il tempo crogiolandosi al sole. Ogni tanto rincorrevano una lucertola, Micio Luca raccontava della sua vita in casa con Maria, Roscio ricordava di quando aveva avuto una casa e viveva con gli umani, e gli altri narravano delle loro eroiche avventure da randagi. A volte esageravano anche un po’, come quando Bianchetto raccontò di quella lucertola di un metro, che avevano rincorso su fino alla rocca.

 

I giorni passavano tranquilli e Micio Luca era contento di trascorrere buona parte del suo tempo con i nuovi amici.

 

Un giorno, Maria lo prese in braccio, lo accarezzò dolcemente e disse: “Oggi Luca dobbiamo andare dal dottore”. Micio Luca conosceva il dottore, Maria lo aveva portato dal veterinario altre volte. Questi era un uomo robusto, con i capelli e la barba che iniziavano ad imbiancare. Con Micio Luca era sempre stato molto gentile. é vero, a volte usava uno strano oggetto che gli umani chiamano siringa e che provoca un po’ di dolore, ma sopportabile. Subito dopo averlo punto il dottore gli offriva sempre una ciotola di latte zuccherato, che Micio Luca adorava. Così, Micio Luca non si preoccupò di quella visita dal dottore. Sperava di tornare presto, in modo da poter andare a trovare i suoi amici e raccontare loro di quella giornata. Micio Luca non immaginava che quel giorno, la visita dal dottore, gli avrebbe cambiato la vita.

 

Quando arrivarono dal dottore, Maria assunse un’aria preoccupata. Il dottore era simpatico come al solito, chiacchierò un po’ con Maria, coccolò Micio Luca e poi prese la siringa. “Vedrai, Luca sarà solo un attimo, non devi aver paura” aveva detto con aria dolce. L’ago entrò, Micio Luca sentì la puntura, poi le palpebre divennero stranamente pesanti ed un sonno innaturale si era impadronito di lui. Dopo, non ricordava più nulla, era come se la sua vita si fosse fermata per un po’ di tempo.

 

Si era risvegliato nella sua cesta, a casa. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma si sentiva indolenzito. Maria era vicino a lui, sembrava preoccupata ed un poco triste e lo accarezzava con la solita dolcezza. Micio Luca si alzò dalla cesta, intenzionato ad uscire per andare dai suoi amici. Il sole stava calando ed a quell’ora li avrebbe sicuramente trovati vicino alla rocca. Ma Maria lo fermò: “No, Luca, oggi e per qualche giorno non potrai uscire, ora rimani qui, ti porterò un poco di latte zuccherato”.  Micio Luca non capiva, Maria aveva pronunciato quelle parole con un’aria così malinconica che il gattino decise di ubbidire, e rimase ad aspettare che la padroncina tornasse con la ciotola del latte.

 

Passarono alcuni giorni, la bambina non voleva che Micio Luca si alzasse dalla cesta, era sempre vicino a lui e lo accarezzava con più del solito. Ogni tanto Micio Luca aveva l’impressione che Maria gli volesse dire qualcosa, iniziava a parlare, ma si fermava, accarezzava Micio Luca e dagli occhi le usciva una piccola lacrima. Maria si allontanava solo per andare a mangiare, quando i genitori la chiamavano, e per andare a preparare la scodella del latte zuccherato.

 

Un mattino, Maria accarezzò con dolcezza il gattino, e gli disse: “Oggi puoi uscire Luca, perdonami ma io non trovo il modo di dirti quel che dovrei, lo troveranno i tuoi amici, sii forte mi raccomando!” e piangendo si allontanò.

 

Micio Luca non capiva. Che cosa avrebbe dovuto dirgli Maria? Ma l’idea di poter rivedere i suoi amici lo rendeva felice, e così non diede troppa importanza alle parole della bambina.

 

Riassaporò l’aria del paese, pensò che quel venticello che portava con sé l’odore del tufo era delizioso, e si diresse tranquillo come sempre verso il luogo dove immaginava fossero i suoi amici. Non si era sbagliato, Nerino, Bianchetto, Roscio e Bianconero erano proprio lì dove si aspettava di trovarli. Roscio appena lo vide arrivare miagolò: “Ehi Micio Luca dov’eri finito? In questi giorni non abbiamo fatto altro che domandarci che fine avevi fatto”. “Niente d’importante amici, solo che Maria era un po’ triste e così voleva che rimanessi vicino a lei” rispose convinto Micio Luca.

 

Ma quando fu vicino ai suoi amici, vide una strana espressione sul musetto di Bianconero, e poi su quello di Nerino, quindi su quello di Bianchetto. Il primo a parlare, come sempre fu Roscio: “Ehi, Luca” era la prima volta che Roscio lo chiamava Luca, ed era la prima volta che aveva un tono cosi grave., “Ehi, Luca non hai più la coda! Che cosa sta succedendo?”. Micio Luca sentì un tonfo al cuore, si guardò alle spalle, si sentì mancare, le gambe cominciarono a tremargli, la voce non gli usciva. Era vero, Roscio non stava scherzando, Micio Luca non aveva più una coda. Appena le gambe gli tornarono ferme si voltò e senza dire nulla scappò via, gli sembrava di impazzire. Roscio fu il più lesto a scattare in piedi ed in pochi passi gli fu vicino, gli sbarrò la strada una prima volta, ma Micio Luca non sembrava avere alcun’intenzione di fermarsi. Roscio accelerò la corsa, si pose di fronte a Micio Luca, rizzò il pelo e la coda, inarcò la schiena e con voce seria disse: “Luca, fermati, o dovrai vedertela con me!”. Micio Luca si fermò, e contemporaneamente scoppiò a piangere, emettendo il miagolio più triste che Roscio non avesse mai udito. Nel frattempo, anche Bianchetto era scattato in avanti, ed ora si trovava fra Micio Luca e Roscio. Anche lui aveva rizzato il pelo e la coda, oltre ad aver inarcato la schiena. Guardando fisso Roscio sibilò: “Roscio, prova solo a sfiorare Luca e dovrai vedertela con me!”. Roscio riprese la sua aria tranquilla. “Sciocco, non farei mai del male al nostro piccolo Micio Luca. Volevo solo fermarlo per capire cosa era successo. In fondo una coda è solo una stupida coda. Che importanza ha se un giorno scopri d’averla dimenticata da qualche parte? Io a volte non ricordo nemmeno d’averla!”. Roscio sapeva che stava mentendo, sapeva quanto importante fosse avere una coda, ma cos’altro poteva dire per tranquillizzare Micio Luca?

 

Micio Luca anche se con difficoltà si tranquillizzò, non aveva più una coda, ma aveva sempre i suoi meravigliosi amici. La vita nei giorni seguenti tornò alla normalità, Micio Luca usciva con i suoi amici, rincorrevano ancora le lucertole, si raccontavano le loro storie, e da quel giorno nessuno aveva più fatto cenno alla coda, né a quella di Micio Luca, né a nessun’altra. Solo una volta Bianconero nel raccontare una storia aveva detto: “Quella volta avevo drizzato la coda, …”, ma lo sguardo di Roscio lo aveva fulminato. “Quella volta avevo rizzato il pelo, …” si corresse immediatamente Bianconero. Tutti avevano visto sul musetto di Micio Luca comparire una lacrima.

 

Anche se la vita era ripresa normalmente, i quattro randagi si rendevano conto che qualcosa in Micio Luca era cambiato, non era più il gatto spensierato e felice di una volta, non faceva più caso ai rintocchi dell’orologio della rocca, e spesso Maria doveva uscire da casa per chiamarlo e ricordargli che ora di cena.

 

I giorni trascorrevano, uno dietro l’altro, i muri delle case emanavano sempre quel delizioso odore di tufo, le lucertole correvano a rifugiarsi nei buchi, e Micio Luca la notte continuava a piangere di nascosto. Non voleva rattristare i suoi amici, ma quando rientrava a casa non poteva fare a meno di guardarsi alle spalle e sentire quell’enorme vuoto che la coda gli aveva lasciato. Quella buffa coda su cui da piccolo qualcuno aveva fatto un nodo per ricordargli qualcosa d’importante.

 

Una domenica mattina, nel mese d’Agosto, quando ancora l’aria era fresca, Micio Luca aveva raggiunto i suoi amici. Era la prima volta che lo vedevano arrivare cosi presto. Erano ancora tutti assonnati, ma Micio Luca non aveva dato loro il tempo di riprendersi che già stava parlando. Con aria seria e voce ferma aveva proferito un lungo discorso: “Roscio, Bianconero, Bianchetto, Nerino, questa mattina appena sveglio ho deciso di preparare le valige, e di partire alla ricerca della mia coda. Sono ormai mesi che tento di ricordare quello che doveva ricordarmi il nodo. Per farmi un nodo sulla coda doveva essere qualcosa d’importante. Ed io non posso più vivere senza sapere di cosa si trattava. Quindi parto”. Aveva pronunciato le ultime parole - quindi parto - con una fermezza che non lasciava spazio ad alcuna discussione. I quattro randagi se n’erano resi conto immediatamente. Nessun discorso, nessuna frase, sarebbe riuscita a fermare Micio Luca, come al solito parlò per tutti Roscio: “Luca, io so che tornerai. Tornerai con la tua coda, e noi saremo qui, qui a Sorano ad aspettarti. Non ti scordare mai di noi”. Micio Luca li guardò con affetto, pronunciò un ciao che sapeva d’addio, si voltò ed iniziò il suo viaggio alla ricerca della sua strana coda.

 

Micio Luca cominciò la ricerca della sua coda dalle grotte vicino al paese dov’era nato e vissuto felice. Nei dintorni era pieno di grotte, una volta Bianconero aveva narrato di quei posti, e a Micio Luca sembrava naturale iniziare da lì. Le grotte erano moltissime, e la sera quando il sole calava e le civette intonavano il loro canto, sentiva la paura salire, ma l’idea di avere nuovamente una coda, gli infondeva quel poco di coraggio necessario ad aspettare che il sole facesse nuovamente capolino. Passò diversi giorni visitando ogni singola grotta, bastava vedesse un’apertura nel terreno per entrarvi, frugava in ogni punto, ed ogni volta usciva deluso con il cuore triste, ogni pertugio che trovava era una nuova speranza. Ma le grotte finirono e della sua coda non vi era traccia.

 

Così cominciò ad esplorare i paesi vicini, e poi sempre più lontani. Ogni tanto incontrava qualche gatto randagio o qualche gatto domestico, in giro per i paesi o per le campagne. La domanda era sempre la stessa: “Per caso hai visto in giro una coda, una coda con un nodo?” ed immancabilmente la risposta, anticipata da una risatina a volte cortese, a volte ironica era: “No, nessuna coda” qualcuno aggiungeva sarcastico: “Però se vuoi, un nodo lo troviamo!”.

 

Erano passate parecchie settimane o forse mesi, e Micio Luca si sentiva sempre più stanco e sempre più solo. Spesso la notte rimaneva con gli occhi socchiusi a guardare la luna e ricordava le belle giornate passate a Sorano, l’odore del tufo, i suoi amici, le tenere coccole di Maria. Ma doveva ritrovare la sua coda, voleva sapere cosa doveva ricordare: quel nodo sulla coda non era lì per caso.

 

Un giorno, sfinito dalla lunga camminata sotto il sole, giunse di fronte a qualcosa d’inimmaginabile. Nessuno dei suoi amici gli aveva mai raccontato di quel che ora aveva davanti. Un’enorme ciotola d’acqua! Pensate che non si vedevano i bordi dall’altro lato, e che lo sguardo poteva correre per chilometri e chilometri lungo i bordi sui quali Micio Luca si trovava. Era il mare. Una bellissima distesa d’acqua color blu, lo stesso colore degli occhi di Maria. Micio luca non aveva la più pallida idea di cosa fosse il mare. Pensò che da quelle parti doveva esserci un gatto enorme, grande come non aveva mai immaginato ne potessero esistere. Solo un gatto di dimensioni incredibili poteva avere una ciotola d’acqua cosi grande. Lì intorno del gigantesco gatto non v’era traccia. Così Micio Luca decise di bere un po’ dell’acqua del gigante. Pensò: “Con tutta l’acqua che ha, non si accorgerà nemmeno che io ho bevuto”, si avvicinò timidamente all’acqua, una piccola onda gli bagnò le zampette, e bevve. “Phua che schifo!”. Esclamò dopo il primo sorso, quell’acqua era terribilmente salata.

 

Dopo quel sorso d’acqua la sete era aumentata. Il sole di mezzogiorno era impietoso, Micio Luca si sentì solo, stanco, vuoto, ora non era solo la coda a mancargli, le forze lo stavano abbandonando. La voglia di correre, di ridere, di piangere, stavano lentamente lasciando il suo piccolo cuore, si lasciò cadere a terra, chiuse gli occhi e si addormentò sfinito e triste.

 

Non sappiamo quanti giorni Micio Luca rimase sulla sabbia, sotto il sole del giorno e la luna della notte, per quanti giorni bevve e mangiò. Ma proprio quando tutto sembrava volgere al termine successe qualcosa di straordinario.

 

Un pomeriggio, mentre aspettava che il gran gatto nero delle desolate pianure venisse a trovarlo per portarlo via, Micio Luca si sentì scuotere e pensò: “è ora di andare”. Con la poca forza che gli rimaneva aprì gli occhi e vide un gatto nero, non lo riconobbe subito, e disse: “Sono pronto, possiamo andare”, ma udì una voce che non proveniva dal gatto nero: “Micio Luca, abbiamo scoperto cosa doveva ricordarti il nodo della tua coda”. Era la voce di Roscio, ed il gatto nero non era il gran gatto nero delle desolate pianure, ma Nerino, il suo amico Nerino. E poco distante, che osservavano la grande ciotola d’acqua, si trovavano Bianconero e Bianchetto. Micio Luca richiuse gli occhi convinto che quel che vedeva e sentiva fosse solo un sogno, ma quando Nerino gli si sdraiò affianco e leccandogli il muso gli disse: “Luca questo è il mare, Roscio aveva ragione, è stato lui a dire – vedrete Micio Luca lo troveremo vicino al mare”. Allora capì che i suoi amici erano lì, lì vicino a lui.

 

Roscio, si avvicinò e con la voce delle grandi occasioni, iniziò un lungo discorso “Micio Luca, sono giorni che camminiamo per giungere fin qui, ma quel che ho da dirti è così importante che non potevamo attendere il tuo ritorno”. Cambiò il tono di voce e continuò: “Dopo aver a lungo riflettuto sulla tua coda, sui nodi e quant’altro, abbiamo scoperto a cosa serviva il nodo. Ebbene il nodo sulla coda serviva a ricordare!”. Micio Luca stava per dire “bella scoperta!”, ma Roscio non gli diede tempo di iniziare la frase e riprese il suo discorso. “Quel nodo serviva a ricordarti che hai una coda. Tu non la vedi, ma solo una coda può darti la forza , la determinazione e l’amore che tu hai dimostrato”. In quel momento si avvicinò Bianchetto: “Ehi Luca, hai una coda meravigliosa, mai vista una coda con un pelo così liscio!”. Bianconero, ancora guardando il mare ribadì: “L’avessi io una coda come la tua, forse avrei anch’io una padroncina che mi coccola”. E Nerino aggiunse “Ora troveremo qualcosa da mangiare e da bere, poi drizzerai la tua coda e torneremo insieme a Sorano. Lì, ormai persino le lucertole chiedono di te!”.

 

Micio Luca chiuse gli occhi, raccolse le poche forze che ancora gli restavano, si rizzò sulle zampe, si voltò, riaprì gli occhi e vide la più bella coda che aveva mai visto. Sapeva che solo lui ed i suoi amici potevano vederla, ma ora sapeva che c’era. Era una bellissima coda, con un pelo liscio e dai riflessi argentati, che ispirava amore e felicità solo a guardarla. è vero pochi potevano vederla, solo coloro che avevano la capacità di guardare non con gli occhi, ma con il cuore.

 

 Ormai sono passati tanti anni, Micio Luca ed i suoi amici non vivono più nel piccolo paese di Sorano, ma ancora oggi in paese, i gatti randagi si raccontano di un gatto domestico che aveva uno strano nodo sulla coda. Vi è chi sostiene che Micio Luca non aveva mai perso la sua coda, chi giura che suo nonno l’ha vista e chi dice che sono solo fantasie di vecchi gatti randagi. Ma se chiudete gli occhi e provate ad immaginare Micio Luca, vedrete anche voi quella meravigliosa coda con i riflessi d’argento.

 

Il paese di Sorano è ancora lì, con le sue vecchie case, le sue leggende, i ricordi di una coda. Se mai vi capiterà di andarci, provate a chiudere gli occhi, provate a sognare, e quindi riaprite gli occhi, magari vedrete una bellissima coda, la vostra coda. Io la mia credo d’averla vista.