Il tesoro del Riccio Lori

 

Di solito le favole si ascoltano, qualche volta si raccontano, a volte s’immaginano, difficilmente si vivono. A me è capitato di viverne una, lo so forse è poco credibile ai giorni nostri che a qualcuno possa capitare di vivere una favola, ma provate ad ascoltarla e poi giudicherete.

 

Stavo passando un periodo un po’ difficile della mia vita, spesso giravo da solo per la città oppure mi recavo in qualche supermercato limitandomi ad acquistare lo stretto necessario alla sopravvivenza. Un giorno mentre facevo la fila ad una cassa notai su una catasta di lampadine un piccolo pupazzo di peluche, si trattava di un riccio, incuriosito mi avvicinai, lo guardai, lo posi nel palmo della mano e trovandolo deliziosamente dolce decisi di acquistarlo.

 

Giunto a casa, misi il piccolo riccio di peluche su uno dei comodini in camera da letto e decisi di dargli un nome, lo chiamai Lori.

 

       Quella sera, dopo essermi coricato nel letto, cominciai a piangere silenziosamente, uno di quei pianti che non fanno alcun rumore, in cui le lacrime scendono lentamente rigando le guance. Improvvisamente ebbi come la sensazione di essere osservato, mi asciugai gli occhi con il lenzuolo e mi girai intorno alla ricerca di qualcuno, ma non vi era nessuno, eccezion fatta per il Riccio Lori che mi guardava con aria dolce, mi sembrò che stesse sorridendomi, ma attribuii tale sensazione ai due bicchieri di whisky che avevo bevuto prima di andare a letto. Con quella sensazione addosso mi addormentai rapidamente, e cosa strana, dopo tante notti agitate, quella fu una notte serena.

 

       La sera successiva, mentre dopo cena bevevo il mio solito bicchiere di whisky, ascoltando una melanconica musica di tanti anni prima, decisi di andare a prendere il piccolo Riccio Lori, non chiedetemi perché lo feci, ma sappiate che quella sera, improvvisamente, e senza aver nemmeno finito di bere il mio whisky, mi ritrovai a vivere una favola.

 

       Mentre lo tenevo poggiato sul palmo della mano il pupazzo di peluche mi strizzo un occhio, questa volta ero certo d’essere ancora perfettamente sobrio, quasi istintivamente poggiai il Riccio Lori sul tavolino di fronte al divano, e fu in quel preciso momento che lo sentii parlare per la prima volta.

 

       La voce che disse “Ciao Renato” aveva un tono dolce e rassicurante, e sembrava intonarsi perfettamente con la musica che in quel momento riempiva la stanza. Anche se mi sentivo un po’ sciocco chiesi al peluche come faceva a conoscere il mio nome, la risposta non si fece attendere: “Per lo stesso motivo per cui tu sai che io mi chiamo Lori”. Già, era ovvio, direi incontestabile, ma il nome Lori al peluche lo avevo dato io mentre lui non aveva dato a me il nome Renato, ma decisi di non indagare oltre, la situazione era già abbastanza paradossale, ritrovarsi a quarantaquattro anni compiuti a dialogare con un piccolo peluche, non è certo quella che può definirsi una situazione nella norma.

 

Malgrado io fossi visibilmente imbarazzato, il Riccio Lori, che al contrario sembrava trovarsi perfettamente a suo agio, non mi diede tempo di porre altre domande e ricominciò a parlare: “Bene Renato, andiamo al dunque, sono diverse settimane che ti osservo mentre fai la spesa. All’inizio non volevo crederci, ma poi con il passare dei giorni ogni dubbio, è scomparso.” Ascoltavo il piccolo Riccio con attenzione, senza interromperlo, domandandomi dove volesse arrivare. “Sai”, continuo il peluche, “ti ho osservato al lungo, la tua aria triste, gli occhi sempre velati di lacrime. Ma mai avrei pensato di scoprire che colui che cercavo fossi proprio tu! Poi è successa una cosa imprevista, l’altro giorno mentre giravi fra gli scaffali ti ho visto prendere con amore delle candele, e quando ti sei chinato, sotto il cappotto ho intravisto la tua coda. A quel punto, quasi d’istinto mi girai sperando di vedere la mia coda. Ricordavo d’averla cercata per tanto tempo, ma poi rassegnato aveva smesso, mi ero chiuso in me stesso convinto che non l’avrei mai ritrovata, che non avrei mai ritrovato la mia voglia di sognare, il mio essere bambino. Non vidi la coda, e dissi al Riccio: “Ormai l’ho persa da qualche tempo la coda, mio gentile ospite. Ma non voglio deluderti, dimmi cosa potrà fare per te un uomo triste?”

 

Il Riccio Lori, mi guardo con affetto, un affetto che non percepivo ormai da molto tempo, mi sorrise e mi raccontò del fantastico baule dei sogni. Un baule che a suo dire si era perso e conteneva la storia di ognuno di noi, ed insieme alla storia i sogni ormai dimenticati. Mi descrisse il baule, era un vecchio baule di legno, dal coperchio arrotondato, piuttosto grande, che ormai probabilmente doveva apparire con un aspetto vecchio e rovinato dal passare del tempo, per questo motivo era rimasto da qualche parte senza stimolare in nessuno la curiosità di aprirlo. Noi avremmo ritrovato quel baule e con lui le nostre code. Solo allora mi accorsi che il piccolo peluche era privo della coda.

 

Mentre riflettevo su quanto Lori mi aveva appena narrato, ebbi un improvvisa rivelazione, un baule simile a quello che il Riccio aveva finito di descrivermi, lo avevo visto circa due anni fa, quando, subito dopo aver preso la mia attuale dimora, ero sceso in cantina. Si trovava all’interno di una cantina la cui porta era stata divelta, probabilmente da qualche malandrino alla ricerca di biciclette.

 

Ebbi come un fremito, mi tornarono vivi nella mente i sogni che avevo quando presi la casa, e senza dire nulla mi alzai, presi il peluche in mano e mi recai in camera da letto. Lì sul mio scrittoio avevo una lampada ad olio, solo una volta l’avevo accesa. Non era una lampada antica ma solo una riproduzione. Controllai il livello dell’olio e subito dopo accesi la lampada, che immediatamente sprigionò una tenue luce fatata. Guardai Lori e gli dissi: “Andiamo, credo di sapere dove si trova il tuo baule!”, la risposta fu immediata “Il nostro baule! Renato”.

 

Appena iniziato a scendere le scale che portavano in cantina, nel silenzio della notte, sentii il battito del mio cuore che riempiva lo stretto corridoio che insieme a Lori stavamo percorrendo. La luce della lampada malgrado fosse debole era sufficiente a rischiarare le porte delle cantine poste in ordine lungo il corridoio, pensai “Quanti ricordi ormai dimenticati celeranno”. Come se avesse la capacità di leggere i miei pensieri il Riccio Lori mi sussurrò “Forse una di loro custodisce i tuoi sogni Renato”, non replicai e continuai a cercare la porta divelta, sperando di trovare il baule.

 

La porta era ancora lì, e con emozione di entrambe, scoprimmo che anche il baule era rimasto dove lo avevo visto la prima volta. Il Riccio Lori fece un sorriso che illumino per un istante la buia cantina. Forse quel piccolo Riccio non mi avrebbe ridato i miei sogni, ma sicuramente mi stava dando la speranza di ritrovarli.

 

“Aprilo!” mi disse il peluche, cosi poggiai la lampada per terra, misi il Riccio Lori nel taschino della camicia ed a quel punto spalancai il coperchio del baule. Il movimento un po’ brusco sollevò una nube di polvere, e fece spegnere la lampada, istintivamente mi ricordai di non aver portato con me i fiammiferi. Ma una volta svanita la nube di polvere mi accorsi che dal baule ormai aperto emanava un’incredibile luce, di quelle che non feriscono gli occhi abituati al buio, ma li avvolgono con dolcezza.

 

All’interno del baule, che ora sembrava molto più grande, vi era una scala, il Riccio Lori con voce tremante mi disse: “Andiamo, scendiamo la scala”. Mi chinai a prendere la lampada, “Non serve” mi annunciò Lori. “Lo so, ma è un ricordo cui sono molto legato Lori” ripetei, e per tutta risposta Lori mi sorrise.

 

Iniziammo a scendere cautamente, non era la paura dell’ignoto che mi frenava, ma la paura dei sogni. Quanto avevo lottato, quanto avevo pianto nel vedere quei sogni infrangersi, ed ora l’idea di ritrovarli mi sgomentava. In fondo alla scala vidi una luce diversa, allora chiesi al Riccio: ”Di cosa si tratta Lori?”. La risposta mi prese alla sprovvista: “Non ricordi? Sono i lampioni di Sorano, il riflesso della luna sullo stagno di Vallerana”. Era come se il piccolo Riccio Lori conoscesse perfettamente la mia vita, avesse condiviso con me i miei sogni, allora, e solo allora capii che tutti hanno dei sogni, e che quando questi sono puri sono condivisi con chiunque sappia sognare.

 

Mentre ero assorto in questi pensieri giungemmo al fondo della scala e rividi i miei sogni. Ebbi un’immensa paura e mi voltai di scatto per ripercorrere la scala, il desiderio di fuggire era più forte di qualsiasi altra cosa. Fu in quel preciso istante che il Riccio Lori balzando fuori dal taschino mi disse “Perché piangi Renato? Non aver paura,non sei più solo, ora non più”. E s’incamminò con passo deciso attraverso i miei sogni.

 

Camminammo per un tempo che mi sembrava infinito. Ad ogni luogo che aveva rappresentato la mia vita Lori si fermava e mi sorrideva, mentre le lacrime che mi rigavano il volto, cadendo a terra si trasformavano in lucciole donando nuova luce a quei ricordi. Quello che non riuscivo a vedere erano i sogni del mio compagno di viaggio, ma anche in questo caso, come se per lui non potessi avere segreti Lori mi parlò: “I miei sogni sono i tuoi sogni Renato”, fu in quel momento che mi accorsi che il Riccio Lori aveva nuovamente una meravigliosa coda, piccola come si confà ad un riccio, ma bellissima. Era la mia coda quella che avevo perso e che ormai avevo smesso di cercare. 

 

Con Lori continuammo a camminare l’intera notte, di questa sono certo, perché la mattina quando mi risvegliai sullo stesso divano dove la meravigliosa avventura aveva avuto inizio, il Riccio Lori era ancora lì, con quel suo dolce sorriso e con gli occhietti che mi guardava. Non avevo ritrovato la mia coda, ma la voglia di ricominciare a cercarla.

 

Da quella fantastica notte è passato molto tempo, il Riccio Lori è ancora sul mio comodino, e la notte prima di coricarmi non dimentico mai di rivolgergli un piccolo, tenero, “Grazie Lori”.