La Marmotta Gianna non sa fischiare

 

Per una buona parte di noi avere due lunghi dentoni proprio sul davanti della bocca costituirebbe un serio problema, se poi quei due dentoni hanno fra loro anche una bella fessura, il problema sarà destinato ad aumentare a dismisura.

 

Non per tutti è cosi; infatti, per una marmotta che si rispetti, avere due bei dentoni proprio sotto il naso è quasi indispensabile ed è un vanto poter mostrare la fessura che li separa uno dall’altro.

 

In realtà il vanto non è dato dalla fessura di per sé, bensì dall’uso che le marmotte fanno di quei due simpatici dentoni e della loro fessura, ma per saperne di più dovrete pazientare ancora un po’.

 

La nostra storia inizia su quelle montagne che ancora oggi posso vedere, nelle limpide giornate primaverili, sbirciando dalla finestra di casa e, come tutte le storie di marmotte, ha inizio in una giornata di primavera.

 

Quel pomeriggio la prateria delle marmotte era stata allietata dalla nascita di diversi cuccioli. L’intero villaggio era in preda all’euforia. Solo alcune marmotte non partecipavano alla gioia del villaggio. Non pensate fossero dei tipi burberi o, ancor peggio, che in quel momento non vivessero la gioia degli altri, il loro atteggiamento serio, lo sguardo attento a tutto ciò che si muoveva nel cielo o nello spazio terrestre intorno al villaggio, era dovuto solo ed esclusivamente alla loro momentanea posizione: si trattava delle sentinelle.

 

Quel giorno passò tranquillo, tutti si adoperavano perché il primo contatto delle nuove marmotte con il mondo fosse dolce e spensierato. Vi era chi portava vicino alle tane splendidi fiorellini d’erba medica, una vera leccornia! Chi si adoperava per portare il fieno nelle tane, al fine di renderle più confortevoli, e chi dall’alto di un rialzo vigilava con attenzione sugli abitanti del villaggio.

 

Quel giorno fu particolarmente fortunato non solo per l’arrivo dei nuovi cuccioli, ma anche perché, caso strano, per l’intera giornata non un solo fischio turbò la tranquilla serenità del villaggio.

 

I giorni seguenti, seppur turbati da qualche improvviso fischio, passarono nella consueta tranquillità del posto. Le piccole marmotte crescevano rapidamente ed ogni giorno scoprivano qualcosa di nuovo, come la dolcezza di un fiore o l’amaro di un altro. Il correre del tempo fece cambiare rapidamente stagione e cosi, in men che non si dica, arrivò l’estate ed i cuccioli dovettero iniziare a frequentare la scuola.

 

La scuola del villaggio, tenuta da anziani professori, il cui pelo cominciava ad assumere una tonalità sul grigio, prevedeva strane materie, o meglio particolari se osservate dal nostro punto di vista, come ad esempio: teoria e pratica di costruzione di una tana; erbologia, in altre parole come distinguere un’erba nutriente da una poca calorica; teoria del predatore, fischiologia ed altre che non v’illustrerò per evitare di annoiarvi.

 

Fra tutte le piccole marmotte ve n’era una che emergeva fra le altre, la Marmotta Gianna, riusciva ad essere sempre la prima della classe in tutte le materie, o meglio, in quasi tutte.

 

La Marmotta Gianna, era un bellissimo cucciolo, con un pelo liscio di un meraviglioso color castano chiaro, con due occhietti vispi, un musetto delizioso ed una capacità d’apprendimento fuori dal comune. Come se ciò non bastasse, la Marmotta Gianna, era senza alcun’ombra di dubbio la più ricercata dalle piccole marmotte del villaggio. Infatti, esserne amici era un vanto per tutti. La sua tenera dolcezza nei momenti di tristezza degli altri; la sua lucidità nelle situazioni di pericolo, annunciati dai forti e sordi fischi delle sentinelle; il suo coraggio evidente e quant’altro erano apprezzati sia dagli adulti che dai cuccioli del villaggio.

 

Una marmotta fortunata, starete pensando, certo anche io in fondo ho tanti amici, ma non l’intero paese dove abito! A scuola non me la cavo male, non sarò il primo della classe ma insomma, solo due insufficienze!

 

Eppure state sbagliando, la Marmotta Gianna non era affatto fortunata, e sapete perché? La natura l’aveva fornita di due meravigliosi dentoni, si! Proprio sotto il naso, ma quel giorno, forse distratta o forse troppo stanca, la natura aveva dimenticato la fessura.

 

Anche in questo caso, direte voi, un colpo di fortuna, almeno non deve portare quello stupido apparecchio. Pensate invece che ogni tentativo esercitato dal professor Gastone, noto e stimato dentologo del villaggio, non diede frutti e vi garantisco che se fossi in voi apprezzerei l’apparecchio. Provate solo a pensare distrattamente che qualcuno, per quanto stimato, tenti con forza di allontanare i vostri bianchi dentini uno d’al altro, attraverso l’uso di una sottile pietra.

 

Bene, niente dentologhi, o come diciamo noi umani: “Niente dentisti”, mi avete convinto. Quindi torniamo alla nostra giovane, dolce marmotta. Non volendo tirarla alla lunga, vi dico solo che l’anno finì dopo l’autunno, con l’arrivare delle vacanze invernali. Particolarità delle marmotte è quella che passano le vacanze dormendo e, meraviglia delle meraviglie, senza compiti per le vacanze.

 

La Marmotta Gianna cominciò il letargo invernale, cioè le vacanze, con un’ottima pagella. Non fosse stato per quel “non sufficiente” in fischiologia nulla avrebbe potuto turbare le meritate vacanze. No! Niente mare, solo un meraviglioso e dolce sonno popolato da sogni.

 

Come tutti voi sapete, i grandi lo ripetono spesso, il tempo corre e così la primavera fece nuovamente capolino, colorando ancora una volta la prateria di verde. La Marmotta Gianna fu una delle prime a svegliarsi e, speranzosa disse, con aria gioiosa, alla mamma scuotendola: “Sveglia! Dobbiamo andare dal professor Gastone!” La mamma, ancora assonnata, al risveglio dal lungo letargo, si liscio il pelo ed uscì di casa con la piccola Gianna, sperando di trovare già aperta la tana dell’esimio professore. Se la pietra, sì insomma l’apparecchio, aveva funzionato, la sua cucciola avrebbe riparato a quell’unico “non sufficiente” che, cosi stonato, appariva fra gli “ottimo” dell’anno precedente.

 

La tana del professor Gastone era ancora chiusa, coperta di fieno, non si poteva certo svegliare di soprassalto il dentologo, quindi Gianna e la sua mamma si misero in attesa. Un’attesa che sembrava non aver mai fine. La mamma pensava con orgoglio: “Sarai la prima della classe!”, mentre la nostra piccola protagonista continuava a sognare, dicendosi “Supererò l’esame a pieni voti, e presto sarò una sentinella!”.

 

Il professor Gastone, ormai una vecchia marmotta, sembrava non volersi più risvegliare. Le ore, i giorni passavano e l’attesa diventava ogni istante più popolata dagli orgogliosi desideri di mamma Lina e dai sogni della piccola Gianna. Finalmente, dopo quattro giorni d’attesa, il professor Gastone decise di mettere il naso fuori dalla tana. Non fece in tempo a stiracchiarsi, che il suo primo cliente primaverile era già lì che lo incalzava: “Buongiorno professore, bellissima stagione questa spero abbia riposato bene, e .. sì insomma, che ne pensa, lo diamo uno sguardo alla mia fessura?”. “Si ovvio” rispose con aria infastidita il professor Gastone, “entrate pure, prego signora”, mentre rivolgeva uno sguardo di rimprovero a quella piccola impertinente.

 

Una volta all’interno della tana, scusate dello studio, del professor Gastone, Gianna, senza troppi complimenti, saltò sulla poltrona del dentologo, spalancò la bocca e rimase in trepidante attesa. Il dentologo inforcò gli occhiali e rivolgendosi a mamma Lina domandò con voce impostata, ed anche un po’ scocciata: “Mi dica signora, qual è il problema della piccola?”. Mamma Lina, trepidante, rispose: “La fessura professore … ricorda?”. “Oh, sì certo!” mentì il professor Gastone, che ancora assonnato non ricordava nulla. Il nostro burbero professore, senza minimamente scomporsi, si rivolse a Gianna, cominciando a ricordare il caso: “Bene Anna, apri la bocca !“, La piccola Gianna, ormai provata dalla lunga attesa, pronunciò solo due parole, prima di spalancare la bocca, “G…nna, professore”. Il suo nome scomparì, in quel gesto di speranza. E cioè nell’aprire la bocca.

 

Il professor Gastone diede un’occhiata ed in quel momento ricordò; “Gianna, si! Gianna, il caso più crudele che il fato, insomma il destino, gli aveva posto in tanti anni d’onorata professione”. Il dentologo prese le pinze, per la prima volta sentì le mani tremargli e, con un colpo secco, sfilò la pietra. Passò meno di un istante, si udì un secco suono, i denti di Gianna si unirono nuovamente, senza lasciar traccia della fessura.

 

Malgrado tale intervento fosse già stato eseguito con successo altre volte, il Professor Gastone, questa volta, era stato umiliato dalla natura. La piccola Gianna non avrebbe mai avuto la tanto sospirata fessura. Non sarebbe mai stata una sentinella!

 

Il silenzio avvolse la tana. Né mamma Lina, né tanto meno il Professor Gastone, trovarono le parole per interrompere il silenzioso pianto di Gianna.

 

Ma la nostra malinconica marmotta, superato il primo momento di smarrimento, decise con fermezza che un modo per fischiare, fessura o non fessura, l’avrebbe trovato. Passò l’intera primavera a riordinare le idee. No! Erbologia non le sarebbe stata utile, teoria e pratica di costruzione di una tana, con i suoi sciocchi insegnamenti sul modo di evitare fastidiosi suoni, non era certo la materia da prediligere in tal frangente. “Si!”, esclamò Gianna improvvisamente, i suoi studi le sarebbero serviti, “Suonologia” le avrebbe permesso di fischiare! Corse in casa, cercò il libro di scuola ed andò diretta al capitolo “Il silenzioso suono dell’aquila”. Ricordava che quella lezione era stata particolarmente interessante. Spiegava che le aquile, nell’atto di lanciarsi rapidamente in picchiata verso la prateria, non riuscivano a nascondere il suono emesso dalla loro coda a contatto con l’aria. Si poteva ipotizzare che tal suono fosse dovuto alla velocità o, meglio, al rapido sfregare della coda contro l’aria.

 

Da quel giorno, ogni sera, la Marmotta Gianna attendeva che tutti dormissero, che le sentinelle, certe che nessuno fosse più in giro per il villaggio, rientrassero nelle loro tane. Solo allora usciva silenziosamente dalla propria abitazione e si recava furtivamente nel bosco adiacente la prateria.  Gianna sapeva, che ciò che faceva era pericoloso, nessuna sentinella avrebbe fischiato per avvisarla dell’arrivo di una volpe o di una faina, ma valeva la pena correre tal rischio. Avrebbe dato la propria vita pur di montare la guardia almeno una volta, pur di essere una sentinella.

 

Una volta giunta nel bosco, la nostra piccola amica, cominciava a far roteare la coda, cercava di darle la giusta inclinazione, in modo che lo sfregare della coda stessa contro l’aria simulasse quel fischio che le sentinelle emettevano in caso di pericolo. Passarono diverse stagioni, ben più di una primavera, ma giorno dopo giorno il tanto desiderato fischio cominciava ad assumere la giusta tonalità.

 

Una sera d’estate, proprio pochi giorni dalla data fissata per l’esame di fischiologia, unico esame mai superato dalla nostra tenera amica, l’agognato fischio si udì per tutta la prateria: peccato che tutti dormissero. Gianna era riuscita nel suo intento, ora sapeva come fare a fischiare, fessura o non fessura. La sua coda le aveva restituito ciò che la natura distratta non le aveva donato. Quella notte la marmotta, ormai non più cucciola, si ritirò nella tana e dormì serenamente.

 

Il mattino seguente, di buon ora, un nuovo problema da affrontare fece capolino fra gli ottimistici pensieri della tenera Gianna. Le avrebbero mai concesso di ridare l’esame di fischiologia? In fondo non era più un cucciolo e le regole erano molto precise: superate le otto stagioni, due dei nostri anni, non si aveva più la possibilità di ritentare l’esame. Come fare? Si doveva arrendere proprio ora che aveva trovato il modo di fischiare? No! Non si sarebbe arresa! Le regole esistevano, ma se era stata in grado di battere la mancanza della fessura, avrebbe battuto le regole.

 

Ferma nella sua decisione, il giorno stabilito per l’esame di fischiologia si mise in fila insieme alle piccole marmotte che, emozionate, aspettavano il proprio turno. La fila era lunghissima, quell’anno aveva visto nascere più cuccioli del solito, molti di loro avrebbero visto rinviare l’esame al giorno dopo. Più di un cucciolo passò davanti a Gianna. La scavalcavano dicendo: “Mi scusi, signora, ho l’esame”. La nostra amica non riusciva a dire: “Anch’io piccolo”, si sentiva a disagio, l’età ormai non più tenera, il suo modo di fischiare particolare, la rendevano imbarazzata. Così il primo giorno passò senza che Gianna riuscisse ad arrivare di fronte ai professori.

 

La mattina dopo, quando ancora tutti dormivano di un sonno profondo, Gianna era già in fila, insomma, fila, c’era solo lei a quell’ora. Ma la scena del giorno prima si ripeté, ogni giovane marmotta che arrivava le passava davanti. Sì, è vero, scusandosi e spiegando la storia dell’esame, ma comunque prendendo il suo posto nella lunga fila. Le ore passavano, si udivano fischi forti e decisi, fischi che sembravano sordi sibili, a volte suoni che definire fischi era difficile. Improvvisamente Gianna si sentì girare la testa, la fila davanti a lei invece di accorciarsi si allungava ad ogni cucciolo che giungeva. Capì che non sarebbe mai arrivata fino alla scrivania dei professori ed improvvisamente, colta dalla tristezza, uscì dalla fila e mestamente s’incamminò verso la propria tana.

 

Aveva fatto pochi passi, quando fu attirata da uno strano suono. Non lo aveva mai udito, è vero, però lo conosceva, lo aveva letto su di un libro. Sì! Il libro di “suonologia!” Alzò gli occhi al cielo e vide una maestosa aquila girare sulla prateria, eppure nessun fischio delle sentinelle si udiva, era come se quella bellissima aquila fosse riuscita a rendersi invisibile agli occhi di tutti.

 

La nostra amica rimase preda della paura, che fare? “Fischiare!”, pensò dopo un istante, ed immediatamente cominciò a roteare la coda. Quello strano fischio ebbe l’effetto desiderato. Tutte le marmotte, scolari, professori, insomma proprio tutte, corsero verso le tane. No! Non tutti, una piccola marmotta rimase in fila, era cosi presa dall’idea dell’imminente esame, che non si accorse di nulla, rimase ferma dove si trovava. Improvvisamente “Il silenzioso suono dell’aquila” si fece più forte, Gianna capì che l’aquila aveva iniziato la sua picchiata, alzò gli occhi, vide l’incontrastato re del cielo. Senza riflettere si lanciò sulla piccola rimasta in fila, una fila che ormai non v’era più. Un solo istante e la nostra amica senti gli artigli di quel fiero rapace affondare sulla sua schiena, un altro istante e si ritrovò ad osservare la prateria dall’alto del cielo.

 

Nel momento stesso in cui la morsa degli artigli allentò la presa, Gianna si ritrovò a mille e più metri dal suo villaggio. La prateria sembrava cosi lontana e, poco distante da lei, l’enorme aquila con, le ali ormai chiuse, la guardava. Gli occhi inquisitori di una incontrarono gli occhi timorosi, ma fieri, dell’altra. Fu l’aquila a parlare per prima: “Come hai fatto a fischiare senza fessura?” domandò. “Usando la coda” rispose intimorita Gianna. L’aquila rimase silenziosa, poi dispiegò nuovamente le ali, quel gesto le conferiva un aspetto forte e fiero. La marmotta chiuse gli occhi, la sua ora era giunta, sentì nuovamente gli artigli sulla schiena. Il fresco dell’aria sul musetto e, improvvisamente, il piacere dell’erba sotto le zampe. Forse aveva raggiunto la grande prateria senza stagioni.

 

Quando, ormai rassegnata, aprì gli occhi, vide nuovamente il suo villaggio.

 

A pochi metri da lei, l’aquila la guardava con rispetto. Facendo capolino dalle tane, gli abitanti dell’intero villaggio osservavano la scena. La marmotta Gianna cercò di parlare, non ci riuscì subito, ma al secondo tentativo la voce uscì: “Perché, mia signora?”. Una voce ferma e maestosa rispose: “Per la tua coda, per il tuo coraggio, per la tua caparbietà, per i tuoi sogni!”. L’aquila spalancò le enormi ali, le agitò mestamente nell’aria, fece roteare la testa e lanciò uno sguardo fiero sugli abitanti del villaggio. “Addio! Sentinella!” disse, prima di alzarsi nuovamente maestosa nel cielo.

 

Da quel lontano giorno, nel villaggio, si narra la storia di una marmotta senza fessura fra i denti, di una sentinella eroica, di un sogno, di una coda. Da quel lontano giorno, nel villaggio, si narra della piccola, tenera marmotta Gianna.